E’ UFFICIALE: DIETRO AL COLPO DI STATO IN CILE NEL 1973 CI SONO GLI STATI UNITI.
Adesso è chiaro il ruolo degli Stati Uniti nel golpe di Pinochet in Cile. Non si tratta più di ipotesi, di tesi probabili sorrette da una convinzione dominante durante e dopo i 17 anni della più feroce dittatura militare del secolo scorso. È scritto nero su bianco. Lo confermano migliaia di documenti, trascrizioni, appunti, brogliacci, indicazioni, suggerimenti che fanno parte del file “Politica sul Cile”.
Cinquant’anni dopo l’elezione a presidente di Salvador Allende (5 novembre 1970) la Nsa, la madre di tutte le agenzie di intelligence statunitensi, li ha desegretati e messi a disposizione del pubblico. Raccontano come, chi e in quali tempi attivò una fine strategia che non esponesse gli Usa a una condanna internazionale per un’interferenza considerata grave, visto che Allende era stato eletto in una libera e democratica elezione, ma agisse assediando in tanti modi il primo governo marxista nato in America Latina. Golpe in testa. Quegli scritti sono anche la testimonianza diretta di un intervento, una scelta politica e strategica decisiva per il successo di Augusto Pinochet.
Lo scopo era logorare ai fianchi l’uomo che aveva osato rompere il controllo Usa sull’America Latina con un progetto politico nuovo e diverso. Boicottarlo con pressioni sulle principali multinazionali affinché abbandonassero il paese, facendo crollare il prezzo del rame, tra i principali prodotti esportati dal Cile, esasperando una popolazione che si trovava senza più aiuti e spinta verso l’abisso della povertà. Fare di tutto per affossarlo. Fu soprattutto Henry Kissinger, all’epoca (1969-1974) segretario alla Sicurezza Nazionale, a sollecitare il presidente Richard Nixon per una linea d’intervento più diretta, poco condivisa dagli altri consiglieri della Casa Bianca favorevoli invece a quella che fu chiamata la “Strategia del modus vivendi”: appoggiare i partiti dell’opposizione cilena, di centro e di destra, in vista delle elezioni che si sarebbero tenute nel 1976.
Le trascrizioni degli appunti sulle convulse riunioni che seguirono l’arrivo di un governo socialista in Cile, tratteggiano la serie di manovre di Kissinger per incontrare da solo Nixon prima che si vedesse l’intero Consiglio della Sicurezza Nazionale. Convocato alla Casa Bianca per il 5 novembre, il segretario riuscì a posticiparlo di 24 ore. Nel frattempo fece di tutto per vedersi di persona con il presidente per aggiornarlo sulla situazione in Cile e prospettargli in modo chiaro quello che andava fatto. Era Nixon a dover decidere, alla fine. L’importante era che decidesse bene, senza farsi convincere dalla linea morbida e prudente degli altri. Secondo quanto redatto dal funzionario che annunciava lo spostamento della riunione, Kissinger avrebbe avvertito: “Il Cile finirà per essere il peggior disastro della nostra Amministrazione: sarà la nostra Cuba del 1972”.
Aveva fissato un principio. Adesso bisognava solo superare le obiezioni degli altri componenti il Consiglio di Sicurezza e gli inviti a non esporsi con interferenze che sarebbero state condannate a livello mondiale. Non restava altro che convincere il capo. L’incontro decisivo avviene nello Studio Ovale. Durante un’ora Kissinger si trova da solo con Nixon. Gli illustra uno studio dettagliato che suggerisce una linea aggressiva di lunga durata nei confronti del governo Allende.
“Nell’arco di 6 mesi-un anno”, avvertirà Kissinger, “gli effetti di questa svolta marxista andranno oltre le relazioni tra Usa e Cile”. Il riferimento era all’incubo comunista, all’influenza della via cilena al socialismo. “Uno degli esempi più vistosi”, insisterà il massimo consigliere della Casa Bianca, “è l’impatto che avrà in altre parti del mondo, specialmente in Italia. La propagazione emulativa di fenomeni simili in altri luoghi a sua volta colpirà in modo significativo l’equilibrio mondiale e la nostra stessa sfera di influenza”.
Nixon si fece convincere. Non tutti sapevano che, un anno prima, aveva già chiesto alla Cia di attivarsi per mettere a punto, in gran segreto, un golpe preventivo per evitare l’arrivo di Allende alla guida del Cile. Ma ognuno era ormai cosciente che la riunione si sarebbe svolta sulla base di un assunto preciso: l’elezione democratica del leader cileno e la sua agenda socialista per un cambio sostanziale minacciavano gli interessi degli Stati Uniti.
Il Consiglio di Sicurezza si riunisce finalmente il 6 novembre. Emergono subito le posizioni diverse. Il segretario di Stato William Rogers si oppone a una aggressione evidente. “Possiamo debilitarlo, in caso, senza essere controproducenti”, suggerisce. Il segretario alla Difesa, Melvin Laird, si mostra più deciso: “Dobbiamo fare di tutto per danneggiarlo e poi farlo crollare”. Il direttore della Cia, Richard Helms, conviene. Mostra un documento in cui si vede che Allende ha vinto di stretta misura e che il suo gabinetto è formato da “militanti della linea dura” che dimostra “la determinazione dei socialisti di affermare la loro politica più radicale sin dal principio”.
Tutti, alla fine, tacciono e guardano Nixon. Si volta anche Kissinger che resta in attesa. “Se c’è un modo di rovesciare Allende, è meglio farlo”, ordina il presidente. La frase è riportata nei documenti oggi declassificati. Detto e fatto. Si sa come andò a finire. Il lento logorio economico, il Paese assediato dagli scioperi, le minacce continue, il sollevamento dei militari guidati proprio da chi aveva avuto la fiducia di Allende. Augusto Pinochet non si fece scrupolo. Aveva avuto il via libera. I carri armati per le vie di Santiago, il bombardamento della Moneda, le fiamme, il presidente che resiste elmetto in testa e fucile automatico, la sua morte, le retate, gli stadi riempiti con migliaia di simpatizzanti, le sparizioni, le torture, le fucilazioni di massa. Il terrore fino al 1990.