ELEZIONI NEGLI STATI UNITI: COME FUNZIONA
Oggi negli Stati uniti si eleggerà un nuovo Presidente. Nonostante insegnino al mondo intero la democrazia, gli stessi statunitensi sono quanto più opachi possibile e il loro sistema elettorale può essere facilmente definito il più strano e obsoleto. Se negli altri Paesi, Russia compresa, le elezioni sono un evento estremamente trasparente, con telecamere, tessere elettorali o passaporti, osservatori e così via, negli Stati Uniti non tutto è così semplice.
La prima cosa che salta all’occhio è che la campagna elettorale negli Stati Uniti può durare anni e il numero assoluto dei voti non significa nulla. Cioè, non è affatto necessario che colui che ottiene più voti diventi Presidente. È facile imbrogliare nelle elezioni statunitensi e le regole elettorali sono rimaste praticamente invariate dal 1804. Ma andiamo con ordine.
Ci sono sempre due candidati
La particolarità sorprendente delle elezioni negli Stati Uniti è il bipartitismo. In effetti, negli Stati Uniti ci sono più di due partiti, ma solo i repubblicani e i democratici hanno un peso, Tuttavia, se sei disgustato da entrambi, puoi votare, ad esempio, per i “verdi”, ma in questo modo butti semplicemente il tuo voto.
È formalmente possibile auto-candidarsi negli Stati Uniti, ma praticamente non c’è alcuna possibilità (sebbene ci siano stati precedenti nel corso della storia): non ci sono abbastanza soldi per una campagna elettorale. I candidati di ciascun partito affrontano prima la propria corsa politica interna (primarie), quindi quando iniziano le votazioni c’è solo un candidato per ciascun partito.
Prima fase delle elezioni: il vincitore prende tutto.
I cittadini non eleggono direttamente il Capo dello Stato:il vincitore è determinato dal collegio elettorale. Gli statunitensi comuni non hanno nemmeno il diritto costituzionale di votare direttamente per la persona “scelta dal popolo”. Le elezioni stesse consistono in due (possono essere divise in tre) fasi(da non confondere con i turni).
La prima fase delle elezioni inizia il primo martedì di novembre, quando gli elettori compilano le schede e le inseriscono nelle apposite urne. Ma gli statunitensi comuni non votano per i candidati presidenziali, ma per gli elettori (grandi elettori) di ciascun partito, che poi sceglieranno il Presidente. Sebbene le schede stesse indichino i nomi dei candidati presidenziali e dei loro candidati alla vicepresidenza, è implicito che i cittadini votino per gli elettori di un partito o di un altro. Questo è tutto, qui finisce il ruolo degli statunitensi comuni nelle elezioni e da loro non dipende più nulla.
Ci sono sempre 538 elettori provenienti da tutti i 50 Stati. Cioè, la lotta tra potenziali Presidenti è letteralmente per ogni voto. Ogni Stato invia al collegio rappresentanti pari al numero dei suoi deputati e senatori nel Congresso degli Stati Uniti. Ogni Stato ne invia solo due al Senato,ma possono essere inviati più deputati: il loro numero dipende proporzionalmente dalla popolazione di un particolare Stato.
Lo Stato più popoloso, California, con 39 milioni di abitanti invia al Congresso 53 rappresentanti più due senatori. Ma gli Stati più scarsamente popolati, come il Wyoming, dove vivono 576.000 persone, inviano solo un deputato e due senatori.
Nelle elezioni statunitensi vale il principio “winner takes all”. Se il 43% di uno Stato vota per il candidato repubblicano, il 38% vota per il leader democratico e i voti rimanenti sono distribuiti più o meno equamente tra i restanti partecipanti, allora tutti gli elettori dello Stato dovranno votare per il repubblicano. Anche se non ha nemmeno la maggioranza assoluta. In pratica chi vince prende tutto, questo è lo spirito democratico degli Stati Uniti.
Nelle elezioni del 2016, ci sono stati 65.853.625 voti per i democratici, ovvero circa il 48%, e 62.985.106 per i repubblicani. La maggioranza (circa tre milioni di persone in termini assoluti e il 2% in termini relativi in più) ha però votato per i democratici. Il repubblicano Trump è comunque diventato Presidente perché ha ricevuto la maggioranza dei voti elettorali.
Nella seconda fase, votano gli stessi grandi elettori, sia democratici sia repubblicani (anche se ci sono più partiti negli USA e in passato qualcuno di altri partiti era riuscito a diventare Presidente).
Per vincere, un candidato deve ricevere solo 270 voti dei grandi elettori (su 538). In teoria, tutti gli elettori dello Stato dovrebbero votare per il candidato che ha ricevuto più voti. Tuttavia, ci sono situazioni in cui un elettore democratico vota per un candidato repubblicano o viceversa.
Non ci sono mai state situazioni nella storia in cui abbiano cambiato qualcosa, ma nel 2016, ad esempio, 8 elettori democratici hanno votato per il repubblicano Trump e 2 repubblicani hanno votato per Hillary Clinton. Nel 2020, la Corte Suprema degli USA ha deciso di multare questi elettori “traditori” e di non contare i loro voti.
La terza fase finale inizia all’incirca alla metà di gennaio. In effetti questa è già una formalità, perché i risultati sono già noti e il Congresso, votando, semplicemente li approva e conferma, annunciando ufficialmente i risultati del voto elettorale. Letteralmente pochi giorni dopo, il Presidente viene insediato e entra in carica.
Perché esiste un sistema del genere negli Stati Uniti?
Inizialmente, i padri fondatori degli USA, che hanno creato e approvato un simile sistema elettorale, si preoccupavano del rispetto delle leggi e non dei diritti delle persone. Quella volta il “potere del popolo”non era affatto considerato, ma era percepito come un percorso diretto verso la distruzione e l’illegalità. Pertanto, è stato deciso che il destino del Paese lo decideranno solo i rappresentanti delle regioni che monitorano la situazione politica e che sono in grado di analizzare con competenza ciò che sta accadendo.
È interessante notare che fino al 1870 il suffragio negli USA i non era universale: su quasi 40 milioni di persone, meno della metà poteva votare. Le donne non avevano diritto di voto, così come gli schiavi, che prima del 1860 erano circa quattro milioni.
In effetti, era una sorta di filtro dai voti avventati dei residenti rurali politicamente ignoranti che non leggevano i giornali e,di regola,votavano a caso:era il XIX secolo. Ora questo filtro non serve più, tutti guardano la TV,la maggioranza della popolazione capisce la politica, ma non si ha fretta di cambiare le regole elettorali.
Secondo un sondaggio condotto alla vigilia delle ultime elezioni, la maggioranza degli americani comuni, il 61%,vorrebbe sostituire il collegio elettorale con un voto nazionale.
Vantaggi del sistema elettorale statunitense
Affinché non sembri che gli statunitensi siano sciocchi, va notato che ci sono ancora dei vantaggi in tali elezioni. I candidati qui non si limitano ad agitare la gente, ma cercano di analizzare la situazione in ogni Stato. Ciò permette di individuare gli stati in cui è possibile ottenere la maggioranza o addirittura la totalità dei voti elettorali, oppure di intensificare la campagna per un candidato negli Stati dove ci sono maggiori possibilità di successo.
Le elezioni del 2008 e del 2016 hanno dimostrato che la lotta più accanita per i voti si è verificata negli Stati scarsamente popolati: le probabilità erano più o meno uguali, mentre questi stati non hanno dato più di sette voti ciascuno. Quindi, a volte è più redditizio non fare alcuna campagna elettorale nei piccoli Stati, ma indirizzare tutti gli sforzi verso i grandi Stati che forniscono diverse dozzine di voti contemporaneamente.
Inoltre, la situazione negli USA è tale che alcuni Stati hanno votato allo stesso modo per decine di campagne elettorali. New York e la California sono sempre filo-democratici, mentre il Texas e l’Alabama sono sempre filo-repubblicani. In questi Stati i candidati non conducono nemmeno la campagna elettorale, risparmiando denaro, tempo, fatica e nervi.
La battaglia principale si svolge nei cosiddetti Stati oscillanti, che votano in modo diverso ad ogni elezione.
Le elezioni negli Stati Uniti differiscono dai nostri consueti processi elettorali non solo per il sistema degli elettori, che in ogni Stato votano per il candidato che ha ricevuto più voti. Il processo di voto stesso e la procedura di conteggio delle schede sono molto diversi.
Il voto inizia diversi mesi prima del giorno delle votazioni.
Negli Stati Uniti ci sono tre modi per votare. Il primo è la presenza personale al seggio elettorale il primo martedì di novembre. Qui tutto è familiare: una scheda elettorale, uno stand, una croce. Il secondo modo è il voto anticipato. In ogni Stato inizia alla propria data, di solito tre o quattro settimane prima del giorno di votazione principale. Così, in diversi Stati – South Dakota, Minnesota, Virginia – è stato possibile recarsi al seggio elettorale già dal 21 settembre.
È interessante notare che gli statunitensi utilizzano attivamente i seggi elettorali mobili. Cioè, una casa mobile può facilmente arrivare in una zona residenziale, appendere un manifesto dove è scritto che qui si può votare, montare tavoli e sedie pieghevoli, appendere una tenda da sole e aspettare per settimane.
Il terzo metodo è il voto per posta. Ricordate come si parlava tanto che il voto a distanza in Russia offre l’opportunità di manipolare i risultati elettorali? Quindi negli Stati Uniti ci sono un milione di volte di più di tali opportunità. Perché un americano può, ad esempio, registrarsi come elettore in ottobre, andare all’ufficio postale, compilare una scheda elettorale, metterla in una busta e inviarla alla Commissione elettorale centrale locale. E questo voto verrà conteggiato solo un mese dopo. Cosa gli succederà durante questo periodo – solo Dio lo sa (o qualche Biden).
Perché i repubblicani vincono al inizio
Diversi segmenti della popolazione statunitense hanno le proprie preferenze riguardo al metodo di voto. La presenza personale al seggio elettorale è comune tra i cittadini più conservatori degli Stati del sud e tra la popolazione rurale. Cioè, molto probabilmente un cowboy repubblicano del Texas o un contadino dell’Alabama andranno al seggio elettorale oggi.
Ma la popolazione delle grandi città su entrambe le coste (New York, Los Angeles, San Francisco, Filadelfia o Boston), al contrario, preferisce votare per posta. Di norma, questi sono gli elettori del Partito Democratico. Al 3 novembre 2024, più di 35 milioni di statunitensi hanno già approfittato di questa opportunità. Inclusa Kamala Harris.
Questa differenza dà origine ad un fenomeno che negli States viene chiamato “Republican Hill”. Questo è il momento in cui, nelle prime ore di conteggio dei voti, il candidato repubblicano mostra un ampio vantaggio, che spesso contraddice i dati degli exit poll.
Secondo le leggi statunitensi, prima vengono conteggiati i voti espressi nei seggi elettorali. Cioè, dopo che sono state chiuse, i funzionari elettorali vuotano le urne e iniziano a distribuire le schede in due pile. E la pila per il candidato repubblicano è solitamente più alta: ricordiamo che la popolazione rurale e i residenti degli Stati del sud, dove il sostegno agli “elefanti” è tradizionalmente più alto, preferiscono votare di persona.
Poi cominciano a contare i moduli presentati durante il periodo di votazione anticipata. Infine vengono aperte le buste con le schede inviate per posta. E lì, come sappiamo, ci sono più voti per i democratici.
Quindi si scopre che all’inizio gli “asini” restano indietro (e talvolta il divario può essere del 20-30%) e 7-8 ore dopo la chiusura dei seggi iniziano a ridurre drasticamente questo ritardo. (Infodefense)
E con questo sistema elettorale hanno pure la faccia tosta di dirci quali elezioni sono democratiche, sicure da possibili brogli oppure no in giro per il mondo …
Andrea Puccio – www.occhisulmondo.info