Manifestanti in PerúManifestanti in Perú

RETROSPETTIVA AMERICA LATINA 2020

La pandemia non ha impedito le Dopo rigorose quarantene, i lavoratori di diversi paesi della regione si sono organizzati per esigere maggiori diritti

L’America Latina è stata una delle ultime regioni colpite dalla pandemia covid-19 e una delle ultime ad attuare misure di isolamento sociale. Oltre a imporre una nuova dinamica di vita con rigide quarantene, la pandemia ha anche approfondito lo scenario di crisi economica, provocando una contrazione del 7,7% del Prodotto Interno Lordo (PIL) regionale, il dato più alto degli ultimi 120 anni, secondo la Commissione Economica per America Latina e Caraibi (CEPAL).

La precarietà delle condizioni di vita dei lavoratori si è riflessa nella riduzione degli indicatori di benessere economico e si è espressa in un contesto di sconvolgimento sociale. Milioni di latinoamericani hanno protestato in diversi paesi della regione per il rafforzamento dei sistemi sanitari pubblici, per le misure governative che riguardavano gli aspetti sanitari ed economici, nonché per denunciare i fallimenti dei loro stati nazionali.

“Si è resa evidente in maniera molto più forte la crisi che stiamo attraversando noi, popoli di tutto il mondo. Una crisi del sistema capitalista che rende insostenibile la vita sul pianeta terra”, sottolinea Manuel Bertoldi, membro del Fronte argentino e membro della segreteria esecutiva dell’Alleanza Bolivariana per i popoli della nostra America – Alba Movimentos.

Anche la disoccupazione ha raggiunto livelli record, ed ha mostrato che la realtà della maggioranza dei lavoratori è il settore informale. Secondo la CEPAL, circa 34 milioni di lavoratori hanno perso il lavoro durante la pandemia, di questi 23 milioni si trovano in una situazione tale da rinunciare persino alla ricerca di un lavoro fisso.

I lavoratori si trovano senza nessuna stabilità lavorativa, reddito fisso, diritto alle ferie o ferie retribuite. In Brasile circa il 40% dei lavoratori è assunto con contratti informali, in Perù raggiunge il 73% della popolazione economicamente attiva. Per questo motivo, in America Latina, le ore lavorate nel 2020 sono diminuite del 20,9%, il doppio della media mondiale, secondo l’Organizzazione internazionale del lavoro (OIL).

Il sociologo peruviano Eduardo Ballón concorda sul fatto che il fallimento dell’attuale modello economico è una delle espressioni più evidenti nelle rivendicazioni delle proteste che hanno segnato lo scorso anno. “Ci si aspetta che ci saranno cambiamenti, ma le proposte dei lavoratori per cambiamenti più radicali si focalizzano sul modello economico”, sottolinea Ballón. Egli individua due tendenze: la questione  dell’attuale modello di democrazia e quella sul modello di stato liberale.

“I lavoratori cominciano a rivendicare un ruolo per lo Stato, che prima non esigevano, perché lo Stato non ha mai dato loro nulla. Cominciano a interrogare direttamente il mondo privato e le grandi aziende. Cominciano a scoprire che una delle condizioni per la loro organizzazione è il riconoscimento di un insieme di diritti che consente loro di articolarsi collettivamente”, analizza Ballón.

Le costituenti

In Cile, oltre a denunciare la disoccupazione e la mancanza di accesso all’acqua nelle aree metropolitane vicine alla capitale Santiago, sono scesi in piazza anche movimenti sociali per chiedere la ripresa del processo costituente.

Il plebiscito costituzionale era originariamente previsto per aprile ed è stato rinviato dal governo di Sebastián Piñera, sostenendo che sarebbe stata una misura di sicurezza a causa della pandemia di covid. Dopo mesi di manifestazioni di piazza, i cileni hanno conquistato la realizzazione della consultazione ed anche la vittoria della riforma costituzionale, con il 78% dei voti.

Nel 2021, i cittadini dovrebbero eleggere una convenzione costituente, che avrà un anno per scrivere una nuova carta che sarà nuovamente sottoposta a plebiscito. Per la prima volta, una costituzione sarà scritta da una commissione per la parità di genere. L’11 aprile verranno eletti 155 membri, 17 dei quali dovranno essere rappresentanti indigeni. Con la riforma il Paese abbandonerà la costituzione scritta durante il regime militare di Augusto Pinochet.

Anche in Perù è in vigore una costituzione emanata durante il periodo dittatoriale, che ora viene messa in discussione dai cittadini. Dopo aver rovesciato un presidente, i peruviani hanno continuato a mobilitarsi chiedendo che un’assemblea costituente fosse convocata nelle elezioni legislative dell’aprile 2021.

Manuel Merino, che ha preso il potere dopo un colpo di stato parlamentare contro Martin Vizcarra, è stato rimosso con meno di una settimana di governo ad interim, grazie alle pressioni nelle strade.

Un sondaggio condotto dall’Istituto di studi peruviani questo dicembre, mostra che il 97% della popolazione peruviana è a favore del cambiamento della costituzione. I peruviani cercano di sostituire quella oggi in vigore, scritta durante la dittatura di Alberto Fujimori, nel 1993. Come i cileni, le principali riforme mirano a porre fine alle basi liberali della concezione dello Stato, ampliando le strutture pubbliche, sistema sanitario, istruzione e sicurezza sociale per tutti, nonché il controllo statale sullo sfruttamento delle risorse naturali da parte delle imprese transnazionali.

“Non credo che sarà un processo rapido. Sia in Cile che in Perù, siamo in un periodo costituente che non significa necessariamente che avremo in breve nuove costituzioni. Ci saranno ancora confronti, resistenze, incontri e disaccordi, ma è chiaro che stiamo vivendo un nuovo tempo e quello vecchio sta finendo; tra l’altro, a causa della sua incapacità e dei suoi limiti”, analizza il sociologo peruviano Eduardo Ballón.

Anti corruzione

In Centro America e nei Caraibi, oltre a denunciare le precarie condizioni di vita durante la pandemia, migliaia di guatemaltechi e haitiani hanno denunciato la cattiva gestione e i crimini di corruzione dei loro governi.

A novembre, i guatemaltechi hanno respinto in maniera massiccia il progetto di bilancio per il 2021, che ha raggiunto la cifra record di 12 miliardi di dollari, ma ha previsto una diminuzione dei trasferimenti a settori come la sanità e l’istruzione. Le manifestazioni hanno chiesto le dimissioni del presidente Alejandro Giammattei, che non ha ancora concluso il suo primo anno in carica. Oltre alla verifica di responsabilità dei parlamentari corrotti e alle dimissioni della Corte Suprema del Paese.

Giammattei, come Bolsonaro, ha licenziato il suo ministro della Salute nel mezzo di una pandemia per inefficienza. Pur avendo investito notevoli risorse pubbliche per la creazione di ospedali e l’acquisto di forniture, i fondi non sono stati spesi correttamente, il che, secondo i movimenti sociali, evidenzia le complicità corruttive tra i diversi rappresentanti del governo.

Ad Haiti, le proteste per l’impeachment di Jovenel Moise si sono ripetute durante tutti gli anni del mandato del presidente. Con un’economia indebitata con il Fondo monetario internazionale (FMI), solo nel 2020 la valuta nazionale si è deprezzata del 60% rispetto al dollaro USA. A giugno, gli haitiani hanno organizzato uno sciopero generale per denunciare la situazione di miseria generalizzata. Secondo la Banca Mondiale, il 74% della popolazione urbana vive nelle favelas e il 75% della popolazione rurale vive sotto la soglia di povertà. A novembre, i manifestanti hanno protestato per otto settimane consecutive per esigere la fine della corruzione.

Il popolo haitiano accusa Moise di essere sottomesso agli interessi degli Stati Uniti, mantenendo la nazione caraibica sotto la tutela della Casa Bianca anche dopo la fine dell’occupazione delle truppe della Missione di stabilizzazione delle Nazioni Unite ad Haiti (Minustah). Pertanto, chiedono che formi un governo provvisorio che convochi un nuovo processo elettorale.

Moise ha inasprito la repressione delle proteste e in dicembre ha emesso decreti presidenziali per “rafforzare la sicurezza pubblica” ed ha creato l’Agenzia Nazionale di Intelligenza (ANI), dando l’immunità ai funzionari civili e militari dell’istituzione. Per questo atto, le organizzazioni di sinistra hanno denunciato che il presidente stava cercando di stabilire una dittatura ad Haiti.

“Con la diminuzione del valore dato in passato alla democrazia, cadono anche buona parte dei suoi attori. E coloro che cercano di sopravvivere dovranno elaborare logiche di mobilitazione ancora eterogenee, che affrontino la politica in modo radicalmente diverso da quelle della mia generazione e capirne le esigenze e le modalità di articolazione secondo i loro propri codici”, analizza Eduardo Ballón.

Non solo il sistema politico partitico è in crisi di rappresentanza, ma anche le forme tradizionali di organizzazione della classe operaia. Il sociologo ritiene che le manifestazioni iniziate spontaneamente in diversi paesi, articolate attraverso le reti sociali e con il protagonismo dei giovani dimostrano che sindacati e movimenti hanno bisogno di trovare nuove forme di organizzazione.

I diritti umani

Anche in questo ambito in Sud America sono state messe in atto massicce manifestazioni nel 2020.

In Colombia, i movimenti comunitari e di contadini sono scesi spesso in strada durante lo scorso anno, per denunciare il genocidio dei leader sociali. Ci sono stati 306 omicidi tra gennaio e novembre 2020 e 695 dall’inizio del mandato presidenziale di Iván Duque, secondo l’Istituto per lo sviluppo della pace (Indepaz).

In Brasile, le proteste antifasciste hanno denunciato la militarizzazione e la svolta conservatrice dell’amministrazione di Jair Bolsonaro. I riders antifascisti, insieme ai sostenitori organizzati delle squadre di calcio, hanno dato il via all’agenda delle manifestazioni di piazza nel paese.

E in questo fine anno, le donne argentine stanno dipingendo una marea verde in difesa dei diritti riproduttivi e sessuali delle donne, riuscendo a far approvare la legge per legalizzare l’aborto alla Camera e al Senato.

“La battaglia ideologica, e tutti i mezzi che contempla, è fondamentale. In seguito, il compito dei movimenti popolari è quello di trovare forme di organizzazione che rispondano ai nuovi modi di vita dei lavoratori, della classe operaia”, difende Manuel Bertoldi, rappresentante di Alba Movimentos.

A tal fine Alba Movimentos ha convocato il suo terzo incontro continentale ad ottobre 2021, in Bolivia, per confrontarsi con la base sociale che ha garantito il ritorno alla presidenza del Movimento al socialismo (MAS -IPSP) dopo quasi un anno dal colpo di stato.

“Ecco perché dobbiamo costruire nei nostri paesi proposte per superare l’egemonia del sistema capitalista”, ha affermato Bertoldi, sottolineando che praticare l’internazionalismo è diventato un bisogno ancora più urgente dopo la pandemia, “con un orizzonte che sará definito in ogni Paese”.

“In Venezuela è il socialismo del secolo XXI, in Bolivia come processo di cambiamento verso il Ben Vivere, come in Ecuador. Dobbiamo avanzare verso sistemi emancipatori post-capitalisti sul piano economico e anche nell’aspetto politico”, conclude il rappresentante di Alba Movimentos.

Michele de Mello, Caracas, 30/12/2020

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