ULTIME NOTIZIE DAL FRONTE ORIENTALE: POLONIA UNGHERIA E SLOVENIA
Di FRANCO
Ferrari
Alcuni Paesi europei dell’area centro-orientale sono governati da partiti della destra etno-nazionalista dai quali sono chiaramente emerse delle pulsioni autoritarie. Finora erano Polonia e Ungheria ad essere al centro dell’attenzione ma i recenti sviluppi sollevano qualche preoccupazione anche per la Slovenia. I primi due Paesi sono stati al centro di un conflitto con la Commissione Europea per il legame che è stato introdotto tra il finanziamento del programma Next Generation EU e la difesa dello “stato di diritto”. Il veto di Polonia e Ungheria è stato superato con un compromesso elaborato dalla Germania ma che non è stato gradito del Parlamento europeo che ha approvato una risoluzione che richiama la Commissione a rispettare quanto era stato inizialmente deciso (ne parla in un altro articolo su questo sito Paola Boffo).
Nonostante questo conflitto i rapporti fra le maggiori forze politiche europee e la destra etno-nazionalista sono a dir poco ambigui. Il partito ungherese FIDESZ di Orban e il Partito Democratico Sloveno del primo ministro Sansa fanno parte del Partito Popolare guidato dai tedeschi della CDU, anche se il primo è stato temporaneamente sospeso. La mozione approvata dal Parlamento europeo che ha equiparato comunismo e nazismo con una (falsa) ricostruzione storica delle origini della seconda guerra mondiale, così come il recente rifiuto dei paesi europei di approvare alle Nazioni Unite un documento contro ogni forma di riabilitazione del nazismo, sono una concessione a forze politiche che trovano ispirazione nei regimi autoritari affermatasi tra le due guerre mondiali.
I governi di destra si sono potuti affermare anche per le contraddizioni apertesi con l’adesione acritica delle forze liberali e di centro-sinistra all’impostazione neo-liberista e alle politiche di austerità che sono prevalse in Europa dopo la crisi finanziaria del 2008. Bloccata in Grecia la possibilità di un’uscita meno traumatica e di tipo keynesiano dalla crisi, il malessere di ampi settori sociali ha trovato uno sbocco a destra intrecciandosi al conservatorismo sociale e all’arroccamento su politiche regressive ma, in qualche caso, affiancandosi a concessioni economiche da parte dei governi di destra verso le esigenze dei ceti popolari.
La situazione politica nei tre paesi considerati presenti degli sviluppi significativi sui quali vogliamo richiamare l’attenzione.
Polonia: la crisi della Chiesa cattolica
Il governo di destra del Partito Diritto e Giustizia (PiS) ha dovuto far fronte ad un ampia reazione popolare seguita della decisione della Corte Costituzionale, infeudata al partito di governo, di rendere quasi totalmente illegale l’aborto. L’opposizione nelle piazze ha visto protagoniste le donne e i giovani. Al di là delle difficoltà del governo, quello che emerge con sempre più evidenza è la crisi di credibilità della Chiesa cattolica, pur in un Paese composto per il 90% di cattolici. Il legame stretto tra politiche governative e ruolo dell’episcopato è così palese che i manifestanti nelle loro proteste hanno preso di mira le Chiese.
In un suo recente discorso ufficiale il Vescovo di Gdansk, Wieslaw Szlachetka, si è scagliato contro gli slogan di uguaglianza, tolleranza e libertà, considerati una nuova espressione di una “ideologia criminale” intendendo con questa definizione “il comunismo”. La Chiesa cattolica, dominata da un episcopato molto conservatore, si è affiancata al governo nelle campagna di opinione apertamente omofoba e ossessionata dalla cosiddetta ideologia dell’LGBTI. Ancora forte nelle zone rurali la Chiesa cattolica sta perdendo credibilità e anche fedeli soprattutto nelle grandi città. Le nuove generazioni vi vedono sempre più un bastione reazionario e culturalmente ottuso.
La credibilità della Chiesa cattolica è fortemente provata anche dai numerosi scandali di pedofilia che si rivelano come l’altra faccia, strettamente connessa, di un rigorismo morale che risulta essere solo di facciata. Anche alcune figure simboliche della lotta al “comunismo” come il prete Henryk Jankowski, legato al sindacato Solidarnosc e morto nel 2010, affiancava al ruolo pubblico la doppia vita di pedofilo. Così anche per Eugeniusz Makulski, costruttore della basilica si Nostra Signora di Lichen, presentata come simbolo della vittoria del cattolicesimo contro il regime. In un recente articolo, il corrispondente da Varsavia del quotidiano parigino Le Monde, nel riepilogare questi fatti, che portano anche ad una prima timida revisione del ruolo di Papa Wojtila, confrontava i cambiamenti in atto in Polonia con quanto avvenuto in Irlanda. In questo Paese, la Chiesa, un tempo potente (ed altrettanto anticomunista di quella polacca, benché nell’isola il comunismo sia sempre stata una realtà marginale), travolta dagli scandali per pedofilia e altre vicende rivelatrici di una doppia morale, ha perso rapidamente credibilità e presa ideologica sulla popolazione.
Le proteste a difesa del diritto di scelta delle donne, hanno visto agitare nelle manifestazioni slogan apertamente anticlericali. La novità è che queste parole d’ordine sono risultate in sintonia con un sentimento sempre più diffuso tra la popolazione.
Intanto in Polonia è in atto l’ennesimo tentativo di mettere fuorilegge il, per altro piccolissimo (circa 300 aderenti), Partito Comunista Polacco, in nome della lotta alle ideologie “totalitarie”, avallata anche dal Parlamento europeo. Questo mentre si fanno sentire sempre più forti, anche dentro il governo, le spinte dell’estrema destra, ispirate dalle tradizioni neofasciste molto forti in Polonia tra le due guerre mondiali.
Ungheria: nasce il fronte anti Orban
I partiti dell’opposizione al governo-regime di Orban (in grande sintonia con il partito neofascista italiano Fratelli d’Italia) hanno siglato un patto per presentarsi insieme alle prossime elezioni politiche del 2022. Questo fronte va da Jobbik ai socialdemocratici ed ha già consentito di strappare al FIDESZ l’amministrazione di Budapest e di altre grandi città ungheresi. La presenza di un partito come Jobbik ha suscitato non poche perplessità dati i suoi trascorsi di formazione politica apertamente neofascista e antisemita. È vero che il partito negli ultimi anni ha cercato di ricollocarsi su posizione di centro-destra maggiormente “potabili” e ha perso le frange più estreme, ma resta una formazione politica quantomeno ambigua. La sua presenza è però considerata indispensabile per potar contareaccumulare i voti necessari a battere il partito di Orban, che mantiene un forte consenso (ma non la maggioranza assoluta) soprattutto grazie al voto delle zone rurali.
La politica del governo ungherese di destr presenta la normale miscela della destra clericale e etno-nazionalista: esaltazione della cristianità, omofobia (al netto anche in questo caso, come in Polonia, dell’ipocrisia dei suoi esponenti politici, rivelata dalle recenti disavventure sessuali di un europarlamentare seguace di Orban), legittimazione dell’inferiorità sociale delle donne, anticomunismo, limitazione del pluralismo informativo e dell’autonomia della magistratura e così via. A questo si aggiunge un uso spregiudicato degli abbondanti fondi ricevuti dall’Unione Europea in tutti questi anni e distribuiti per costruire un consenso di tipo clientelare, favorendo nel frattempo la formazione di un’oligarchia economica di parenti e amici collegati al governo.
L’opposizione si propone di invertire la tendenza di Orban a costruire un regime sempre più autoritario ma resta debole nel delineare una vera alternativa sul piano socio-economico. Da parte sua il governo, per fronteggiare l’opposizione, oltre a introdurre modifiche al sistema elettorale, si affida al fantasma di George Soros, il grande finanziere che manipolerebbe tutte le iniziative anti-Orban. Evidente il tentativo di cavalcare i sentimenti antisemiti che sono ancora diffusi nella società ungherese.
Slovenia: nuovi pericoli autoritari
Il primo ministro Janez Jansa arrivato a guidare il governo sloveno all’inizio del 2020, è uno stretto alleato di Viktor Orban, da cui ha ricevuto un diretto sostegno per affermarsi sul piano elettorale. Il leader del piccolo Stato emerso dalla frantumazione dell’ex Jugoslavia si è già fatto notare per diverse iniziative notevoli. È stato uno dei pochi ad avere inviato le proprie congratulazioni a Trump per la “vittoria” (immaginaria) nelle elezioni presidenziali di novembre. Ha appoggiato, pur senza ricorrere all’analogo potere di veto, l’iniziativa di Polonia e Ungheria per rimuovere il riferimento allo stato di diritto nella gestione dei fondi del Next Generation EU.
160 intellettuali sloveni hanno denunciato l’intromissione del governo nella nomina di responsabili delle istituzioni culturali ed accademiche del Paese, per inserire personaggi pogo qualificati ma fedeli al governo. Si è avviato anche un progetto di Museo che vorrebbe esaltare l’ideologia etno-nazionalista del Partito Democratico Sloveno guidato da Sansa. Partito sul quale esistono anche non pochi dubbi sul coinvolgimento in episodi di corruzione e di clientelismo.
L’allarme sulle tendenze dittatoriali e incostituzionali del governo di Jansa è stato lanciato anche dal Partito della Sinistra Europea (SE) che si è espresso a sostegno di Levica, il partito della sinistra slovena affiliato all’SE. Questa formazione, assieme ad altre forze progressiste ha avviato la creazione di una “Coalizione per l’Arco Costituzionale”, per bloccare la deriva verso un regime autoritario sul modello ungherese. Levica si è anche fortemente opposta all’ingente programma di spese militari voluto dal governo Jansa che sottrae importanti risorse che andrebbero destinate a combattere gli effetti, sanitari e sociali, della pandemia da Covid19. Finora l’evoluzione slovena non ha suscitato molta attenzione al di fuori del Paese e per questo è importante l’allarme lanciato dal Partito della Sinistra Europea.
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