BOLSONARO ED IL VACCINO: UNA STORIA INFINITA
Dopo aver ostentato per diverso tempo posizioni negazioniste sul Covid 19, Jair Bolsonaro entra in pieno nella corsa per i vaccini, ma il suo intervento rischia di frenare invece che agevolare l’immunizzazione di massa nel secondo paese al
mondo più colpito dalla pandemia. Con oltre 180.000 morti e una seconda ondata già diffusa in tutte le regioni il Brasile è di nuovo in emergenza; a San Paolo, Rio de Janeiro e nel Sud sia gli ospedali pubblici che quelli privati sono praticamente collassati e si prevede un peggioramento della situazione in vista delle festività natalizie. Gli esperti lanciano da settimane disperati appelli alla popolazione per mantenere distanze e isolamento sociale e spiegano che dopo mesi di smart working e delivery oggi i meno attenti sono i brasiliani delle classi sociali A e B, i più ricchi: contraggono il virus in feste, serate nei bar, vacanze e giornate in spiaggia e lo passano poi al personale domestico, a chi lavora in negozi, uffici, centri commerciali e così via. Il virus si espande oggi alla stessa velocità dei mesi più critici della prima ondata, tra aprile e giugno, e non si sa più come fermarlo.
La corsa al vaccino, anche qui, è già iniziata ma soffre dello scontro politico in atto tra il potere centrale e i singoli stati, in particolare tra Bolsonaro e il governatore di San Paolo Joao Doria. Doria ha annunciato che a San Paolo, stato da 46 milioni di abitanti (un quinto del totale) dal prossimo 25 gennaio si inizierà a somministrare il vaccino della Sinovac, laboratorio cinese che da un anno lavora con il prestigioso Istituto Butantan, il maggior centro di ricerca su immunizzanti dell’America Latina. Il Butantan ha condotto la fase tre di sperimentazione su umani del vaccino Sinovac con 13.000 medici e infermieri che si sono offerti volontari e gli esiti, stando ai risultati preliminari, sono altamente soddisfacenti. In Cina il Sinovac è già stato somministrato in fase emergenziale a circa un milione di persone tra militari, studenti, funzionari pubblici. L’agenzia di vigilanza sanitaria di Pechino dovrebbe annunciare l’omologazione definitiva entro Natale e a quel punto l’ente corrispondente brasiliano ha tre giorni di tempo per convalidare o meno questa autorizzazione. Il Butantan sta già producendo in Brasile la prima leva di 40 milioni di dosi che serviranno a vaccinare 20 milioni di persone. Il cronogramma è già preparato; i primi a riceverlo saranno i medici, gli infermieri e gli indigeni, poi gli anziani over 75 e a seguire gli over 70, over 65 e così via. Ma l’autorizzazione per distribuire un vaccino dipende dall’organo federale, l’Anvisa, ed è qui che nasce lo scontro politico con Bolsonaro. A metà anno il governo brasiliano ha “puntato” su un altro vaccino, quello di Astrazeneca-Oxford, prenotando 130 milioni di dosi per il 2021 e rendendo possibile la sperimentazione con 10mila medici volontari tra Rio de Janeiro, San Paolo e lo stato di Bahia. Ma il vaccino di Oxford ha avuto seri problemi a causa delle risposte contradditorie sull’efficacia finale e la sua messa in commercio è stata slittata a non prima di marzo. Bolsonaro non vuole arrivare secondo; da mesi spara a zero contro il “vaccino cinese” del suo rivale politico Joao Doria, si teme ora che l’Anvisa, controllata direttamente dal governo, faccia di tutto per frenarlo. Per correre ai ripari Brasilia ha subito fatto sapere di essere disposta a comprare almeno 40 milioni di dosi del vaccino della Pfizer, ma si deve mettere in fila con gli altri paesi interessati, che non sono pochi. Il Brasile è stato il più grande laboratorio mondiale per la sperimentazione su umani; tra giugno e novembre più di trentamila medici e infermieri si sono offerti come volontari per partecipare ai test dei laboratori Oxford-Astrazeneca, Sinovac, Pfizer e Jhansen (Jhonson e Jhonson).
La speranza di molti era che con tale sforzo e generosità da parte del personale medico le autorità fossero in grado di coordinarsi meglio su scala nazionale, considerando anche la grande esperienza acquisita negli ultimi trent’anni dai centri di salute pubblici nelle campagne di vaccinazione per le malattie infettive. La decisione di affidarsi inizialmente ai vaccini della Sinovac o di Astrazeneca è stata dettata dalle maggiori facilità di conservazione dei due preparati rispetto a quello della Pfizer. Se si vuol far arrivare il vaccino nei luoghi più sperduti dell’Amazzonia, ad esempio, è meglio affidarsi a preparati che richiedono dei semplici frigoriferi a 2-8 gradi invece che delle speciali e costose celle per mantenere la temperatura a -70 gradi. Ora, però, tutto è molto confuso e i brasiliani non riescono a capire cosa succederà nelle prossime settimane. Bolsonaro sostiene che non si può rendere obbligatorio il vaccino e non ha neanche detto se lui si vaccinerà per dare l’esempio, come vogliono fare altri leader mondiali. Ai primi di dicembre il suo ministro della salute Eduardo Pazuello, un generale dell’esercito senza esperienza in campo sanitario, ha commesso una gaffe memorabile in conferenza stampa. “Il governo è pronto a ordinare i vaccini da altri laboratori ma solo se il costo sarà accessibile e se ci sarà un’effettiva necessità”. Nel secondo Paese al mondo per numero di morti da Covid risulta difficile immaginare che non ci sia una richiesta per un vaccino anti-coronavirus.
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