DISSIDI SULLA CRIMEA
di Andrew Spannaus
In queste settimane si assiste ad un dibattito interno agli Stati Uniti in merito all’opportunità di sostenere un attacco ucraino con l’obiettivo di riprendere la Crimea. Mentre al livello istituzionale prevale ancora la cautela, tra i media e i commentatori si trovano voci che affermano che non c’è da preoccuparsi di una possibile reazione russa, in un evidente tentativo di incoraggiare la Casa Bianca a dare il disco verde, e anche a fornire le armi necessarie per compiere l’impresa.
Per ora infuria ancora la battaglia per Bakhmut, dove l’esercito ucraino continua a resistere pur avendo perso gradualmente posizioni. Anche qui ci sono differenze: Kiev teme che la perdita di Bakhmut possa aprire la porta ad un ulteriore avanzamento delle forze russe, ma i funzionari americani hanno espresso in più occasioni i loro dubbi su questa decisione, pensando che sarebbe più saggio risparmiare e concentrare le forze per la prossima fase della guerra, una nuova controffensiva a fine primavera, importante tra l’altro per dimostrare l’utilità di tutti gli aiuti dati all’Ucraina.
Le divergenze più importanti emergono quando si parla di dove dovrebbe puntare la controffensiva. È istruttivo guardare come alcuni organi di stampa americani trattano la questione. Per esempio, il sito The Daily Beast, che ha sempre una linea molto netta nei confronti della Russia, ha pubblicato recentemente un articolo che dà voce a Tamila Tashaeva, presentata come la funzionaria governativa a Kiev responsabile della Crimea.
Tashaeva afferma che le preoccupazioni in merito ad una massiccia escalation russa in risposta ad un tentativo di riprendere la Crimea siano sempre meno, e che ora gli ucraini sono riusciti a spiegare agli americani che la penisola è cruciale per vincere contro Mosca e anche per minare la legittimità politica di Vladimir Putin all’interno della Russia stessa.
L’articolo sottolinea che pubblicamente l’amministrazione Biden ripete che la Crimea è territorio ucraino, e che occorre ripristinare i confini riconosciuti, ma ammette che dietro le quinte i funzionari di alto livello al Dipartimento di Stato e al Pentagono hanno ancora molti dubbi: “l’amministrazione Biden teme che riprendere la Crimea potrebbe essere una linea rossa nucleare per Putin”, secondo una fonte all’interno del governo.
La reticenza viene confermata dal generale Ben Hodges, ex comandante dell’esercito Usa in Europa: “L’amministrazione non si è ancora impegnata a dare il giusto significato alla Crimea. So per aver parlato con persone altolocate nel Dipartimento della Difesa e altrove… non lo capiscono”.
Tashaeva, però, insiste non solo che l’Ucraina può farcela se riceve le armi a lungo raggio, ma anche che occorre fare presto; altrimenti, a suo modo di vedere, la Russia arriverà ad attaccare i paesi Nato come quelli baltici, e a quel punto diventerà necessario per l’occidente mandare anche delle truppe.
Intanto la caduta di un drone americano sul Mar Nero la scorsa settimana indica l’aumento delle tensioni nella zona. Se gli Stati Uniti dovessero aiutare l’Ucraina ad attaccare la Crimea, una delle necessità operative sarebbe di fornire informazioni procurate grazie alla sorveglianza condotta dai propri droni. I russi hanno voluto far capire che non hanno alcuna intenzione di far avvicinare questi droni alla Crimea, intercettando il Reaper mentre si muoveva in modo “provocatorio” verso la Crimea e con il transponder spento, secondo l’ambasciatore russo negli Usa. I russi hanno infatti proclamato una zona di interdizione aerea temporanea che si estende nel Mar Nero, e hanno mostrato che sono pronti a difenderla.
Fonte: Infodefense