8 MARZO, IL PROTAGONISMO DELLE DONNE SAHRAWI
In questa Giornata internazionale della donna, le donne sahrawi propongono di allargare il discorso sulle libertà individuali nei casi in cui non si ha il diritto sovrano sul proprio territorio.
Il Sahara Occidentale è considerato l’ultima colonia dell’Africa: dal XIX secolo fino al 1975 è stato sotto il dominio del regno di Spagna ed è di nuovo in guerra contro l’invasione del Marocco.
“Il nostro lavoro è lo stesso, in quanto non abbiamo diritto al nostro territorio, lavoriamo il doppio”, sostiene Chaba Seini, segretaria generale dell’Unione delle donne sahrawi (UNMS). L’organizzazione nasce nel 1974, appena un anno dopo la fondazione del Fronte Polisario, a dimostrazione del peso dell’avanguardia femminile nella lotta per l’indipendenza del Sahara Occidentale. L’UNMS fa parte della Marcia Mondiale delle Donne e ne ha ricoperto la vicepresidenza per quasi un decennio.
Nonostante abbiano una storia di leadership politica nel loro paese e a livello internazionale, le donne sahrawi riferiscono che ci sono ancora barriere culturali da superare, specialmente quando si tratta del rapporto delle donne con la religione. “L’Islam non è stato creato contro le donne, né contro gli uomini, ma ognuno lo pratica dal proprio punto di vista. La donna sahrawi è sempre stata musulmana, ma non ha mai permesso che l’Islam fosse un ostacolo al suo lavoro o per ciò che lei voglia intraprendere”, spiega Chaba.
Costruita su una società nomade, la Repubblica Sahrawi ha sempre adottato una lettura liberale del Corano. “Ovviamente il problema è che subiamo un approccio occidentale, con un femminismo occidentale poco inclusivo non solo rispetto alle donne musulmane, ma anche alle donne di colore. Siamo condizionate ad applicare standard coloniali al femminismo”, dice Tesh Sidi, una giovane saharawi. Ma avverte: “la donna sahrawi non è libera dai canoni patriarcali che si esprimono anche in una società tribale di persone che vivono in esilio”.
Tesh è un altro esempio dell’autonomia delle donne sahrawi. Figlia di due profughi, il padre è stato per 17 anni ufficiale dell’Esercito popolare e la madre si è occupata della cura e dell’alfabetizzazione dei suoi sette figli. Terminato il liceo, Tesh ha lasciato i campi profughi di Tindouf, in Algeria, per studiare in Spagna. Oggi è una ingegnera informatica specializzata in big data (processamento di grandi quantità di dati) e ha fondato il portale Saharawis Today per informare il mondo sulla resistenza del suo popolo.
“Abbiamo sempre avuto molto rispetto per l’uomo sahrawi e siamo state da loro rispettate. Questo non è iniziato con la rivoluzione, il popolo sahrawi è così”, aggiunge Chaba Seini. Le donne sono state responsabili anche di mantenere viva la cultura sahrawi, attraverso la trasmissione orale e la pratica quotidiana.
“Salam Aleikum achalcum iyak labas achkif alaila umunan yyak ala labas” è un’espressione del calore del popolo Sahrawi e significa: “Ciao, come stai, come sta la tua famiglia, come va la tua salute e quella della tua famiglia”, e anche senza avere ancora il controllo sul territorio del Sahara occidentale e in una condizione di rifugiati, i Saharawi mantengono l’accoglienza di un popolo nomade.
All’arrivo al campo di Dajla, le donne accolgono i visitanti con manifestazioni di affetto. Consegnano un Melhfa (abbigliamento sahrawi), che aiuta a proteggersi dal sole e dalla sabbia del deserto del Sahara. Inoltre, è consuetudine ricevere i visitatori offrendo creme per le mani e profumi per il corpo. Anche le Jaimas (tende) vengono profumate con l’incenso ogni volta che viene preparato il tè sahrawi, un altro rituale che viene mantenuto. Nel Sahara occidentale ogni persona deve bere tre tazze di tè: la prima amara come la vita, la seconda dolce come l’amore e la terza leggera come la morte.
In un ambiente riservato, quando le donne si riuniscono solo fra di loro, le sahrawi cantano le loro canzoni di resistenza, ballano e disegnano arabeschi con l’henné su mani, braccia e viso, tradizione che rafforza la loro identità. “Per noi la nostra cultura è molto importante, perché è ciò che ci differenzia dai marocchini che si ostinano a invadere il nostro territorio e cercano di cancellare la nostra storia”, afferma il ministro della Cooperazione Fatma Mehdi.
La tradizione, in questo caso, va di pari passo anche con una visione moderna dell’Islam. A Dajla è comune incontrare giovani donne che non sono interessate a sposarsi o ad avere figli, eppure il fatto non è un tabù per la società sahrawi. “Nella nostra cultura elaboriamo sempre l’Islam in modo libero, individuale e molto rispettoso”, riferisce Tesh Sidi.
Per le nuove generazioni, nonostante le conquiste storiche e il ruolo guida delle donne sahrawi, è necessario avanzare in altri ambiti. “È importante essere critici. Dobbiamo riconoscere le nuove conquiste, ma non possiamo perdere tutte le nostre tradizioni. La strategia della donna sahrawi deve essere quella di occupare posizioni politiche decisive e che mostrino la forza della donna sahrawi, al di là del tradizionale impegno nella cura della famiglia”, difende l’ingegnera Tesh Sidi.
Per Chaba Seini, la donna sahrawi sa che deve lottare fino a riuscire ad ottenere la sua indipendenza. “Siamo preparate a tutto. Il Fronte Polisario ha strutturato l’intera organizzazione in modo che le donne possano svolgere qualsiasi ruolo vogliano”, ha affermato.
“Ho fiducia nelle donne del mio popolo e andremo avanti. Vincerà il popolo sahrawi. Questo è un fatto storico che accadrà”, ha concluso Tesh Sidi.
Fonte: www.brasildefato.com.br
Traduzione e riedizione a cura di Alessandro Vigilante