L’ESPANSIONE DELLA NATO AD EST, COME E’ STATO POSSIBILE?
La narrativa corrente sul conflitto tra Ucraina e Russia vede Mosca unica responsabile di quanto sta accadendo in Europa centrale ma non bisogna dimenticare le responsabilità che la Nato ha in questo conflitto.
Si è parlato molto dell’espansione dell’Alleanza Atlantica verso est che ha inglobato tra i suoi membri i paesi appartenenti al vecchio Patto di Varsavia avvicinandosi sempre di più alla Federazione Russa, ma come è stato possibile che avvenisse questo allargamento nel silenzio più completo dell’allora Unione Sovietica e della successiva Federazione Russa?
Il processo che ha portato all’espansione della Nato ad est coincide ovviamente con il crollo del muro di Berlino e la successiva caduta dell’Unione Sovietico. Questo processo però non era inevitabile e i presidenti che si sono alternati in quegli anni hanno grosse responsabilità in quanto poi è accaduto.
Gorbaciov, il presidente dell’Unione Sovietica che ha iniziato la così detta perestroika, ed il suo successore Eltsin hanno nell’espansione della Nato ad est grosse responsabilità. In questo articolo cercherò, grazie a quanto scrive Aleksei Puskov nel “libro Da Gorbaciov a Putin Geopolitica della Russia”, di riassumere i fatti principali che hanno permesso agli Stati Uniti di allargare senza troppi problemi la Nato ad est arrivando ai confini con l’odierna Federazione Russa.
I progetti degli Stati Uniti di impadronirsi della Russia risalgono, potremmo dire, alla notte dei tempi. Durante la guerra fredda distruggere l’allora Unione Sovietica non significava solo eliminare lo spettro del comunismo ma anche poter appropriarsi delle risorse naturali che il paese possiede e farle sfruttare alle proprie compagnie.
Ma vediamo i fatti che sono accaduti dalla fine degli anni ’80 in Unione Sovietica che hanno permesso agli Stati Uniti di fare un po’ quello che volevano senza che nessuno, neppure gli allora presidenti dell’Unione Sovietica e poi della Federazione Russa, gli mettessero i bastoni tra le ruote.
L’arrivo al Cremlino di Gorbaciov coincide con l’inizio del periodo delle riforme che avrebbero dovuto modernizzare il paese e, secondo gli intenti del presidente, renderlo più agile e forte. Disgraziatamente i buoni propositi spesso si scontrano con le capacità personali di chi gli vuole metter in atto. Infatti Gorbaciov non aveva alcuna capacità per poter portare il paese al cambiamento voluto.
Questa mia affermazione cozza frontalmente con la narrativa comune che vede invece Gorbaciov come un grande statista che ha liberato l’Unione Sovietica dal comunismo rendendo la nazione un paese moderno. Ovviamente se si ascolta questa narrativa con le orecchie dei vincitori, cioè con quegli degli Stati Uniti, è perfettamente vero. Un grande statista che ha permesso alla Casa Bianca di fare, come detto, quello che voleva perché Gorbaciov non aveva capacità di analisi e di proiezione nel futuro delle decisioni che andava via via prendendo.
Credeva solo che occorreva cambiare il modello economico dell’Unione Sovietica avvicinandola al modello economico occidentale portato avanti dagli Stati Uniti. Credeva che dando credito a Washington ed appoggiandone le politiche si sarebbe potuto costruire un mondo nuovo dove Mosca sarebbe stata un attore fondamentale, assieme agli Stati Uniti, nelle politiche internazionali. Credeva che dalla Casa Bianca avrebbero chiamato il Cremlino per discutere le future crisi internazionali che si sarebbero create. Insomma pensava che allineandosi agli Stati Uniti avrebbe portato l’Unione Sovietica sul podio delle nazioni che decidevano e si spartivano il bottino ottenuto. Ma era invece un incapace ed un illuso che si è fatto prendere in giro dagli allora leader internazionali.
Aveva fiducia nei presidenti degli Stati Uniti che lo osannavano come un grande statista durante i summit internazionali ma poi lo aggiravano come volevano. La smisurata fiducia che aveva per l’occidente mescolata ad un ego anche quello smisurato lo hanno portato a non opporsi, senza riflettere su quanto le sue decisioni avrebbero condizionato poi il futuro, a quello che gli veniva chiesto o proposto.
Questo ritratto di Gorbaciov è necessario per comprender quanto è accaduto riguardo all’argomento di questo articolo ovvero l’allargamento ad est della Nato. Secondo quanto ricorda Aleksandr Bessmertnych, un diplomatico di lungo corso, ministro degli Esteri dall’agosto al dicembre 1991, durante un colloquio tra il segretario di Stato Usa, James Baker, e Gorbačëv riguardo l’unificazione delle due Germanie dopo il crollo del muro di Berlino il Presidente sovietico non pose alcuna condizione alla riunificazione tedesca, anzi la avallò senza batter ciglio
Era il 1989 ed il muro di Berlino era crollato ma l’Unione Sovietica aveva ancora 350 mila soldati nella Germania dell’Est, una cosa era alleggerire i controlli alle frontiera altra era invece parlare di riunificazione tra le due Germanie.
Il Segretario di Stato statunitense si recò a Mosca per trattare le condizioni perché l’Unione Sovietica acconsentisse alla riunificazione delle due Germanie. Baker sapeva bene che per il Cremlino la riunificazione tedesca equivaleva ad una minaccia alla sua sicurezza, ma era pronto a trattare perché riunificare le due Germanie era imprescindibile per la Casa Bianca. Per questo era disposto a trattare
Propose quindi che la Nato non si sarebbe allargata di un centimetro, rimanendo nel territorio della Germania occidentale e che gli Stati Uniti si impegnavano a prevenire il dispiegamento delle truppe dell’Alleanza Atlantica oltre le zone in cui già si trovavano. Washington era pronta a fornire perfino garanzie scritte in proposito e chiedeva solo di conoscere le richieste sovietiche.
Gorbaciov avrebbe potuto chiedere che la nuova Germania non facesse parte della Nato, richiesta che da Washington avrebbero certamente rigettato, ma poteva avanzarla. Poteva chiedere che si creasse una cintura di paesi neutrali attorno ai confini con l’Unione Sovietica che garantisse la sicurezza del paese in caso di raffreddamento delle relazioni perché era chiaro che con il maturare degli eventi il Patto di Varsavia sarebbe scomparso. Avrebbe potuto chiedere che tutti gli accordi fossero discussi in una sorta di conferenza internazionale dove le parti li avrebbero sottoscritti ufficialmente.
Niente di ciò fu proposto da Gorbaciov e da Shevardnadz, Ministro degli Esteri sovietico, a Baker. e che era disposto a trattare. Ricevette invece da Gorbačëv una risposta disarmante: “Bene, siamo d’accordo”, e così si concluse la riunione. Arrivato negli Stati Uniti Baker riferì l’esito dei colloqui al Presidente George Bush che affermò che non era possibile che tutto fosse andato così bene, in fondo si trattava di solo di una dichiarazione verbale e non poteva credere che i sovietici non avessero posto alcuna condizione.
Bush incredulo mandò quindi Baker un’altra volta a Mosca per cercare di capire quali fossero i piani segreti di Mosca perché non poteva credere che tutto era stato tanto semplice.
“Non può essere”, disse Bush a Baker, invitandolo a tornare di nuovo a Mosca. “I russi stanno facendo il doppio gioco, hanno in mente qualcosa, e io non posso permettere che la riunificazione tedesca venga impedita. Sono pronto a pagare qualsiasi prezzo, a concedere loro qualsiasi cosa, per la riunificazione”.
Ma Gorbaciov non aveva assolutamente niente in mente, e questo è la cosa tragica. Baker tornato a Mosca ricevette da Gorbaciov la stessa risposta che gli aveva dato in precedenza. Gli disse: “Va bene, non abbiamo obiezioni, siamo amici”. A quel punto Shevardnadze pronunciò una frase ancora più grossolana: “Noi non mercanteggiamo con gli amici”.
La Germania dell’Est fu svenduta letteralmente alla Germania Ovest ed alla Nato e la riunificazione avvenne sotto la piena benedizione dell’allora stato maggiore dell’Unione Sovietica senza alcuna condizione che garantisse la sicurezza di Mosca. Gorbaciov aveva dimostrato la sua incapacità politica di fronte ad un evento che chiunque avrebbe considerato di estrema importanza per il futuro del suo paese. Incapacità o tradimento?
Perché a vedere come si sono svolti i fatti non possiamo escludere neppure l’ipotesi complottista che Gorbaciov fosse un infiltrato degli Stati Uniti nel governo sovietico e stasse quindi lavorando non per il suo paese ma per l’occidente che bramava per la dissoluzione dell’URSS. Inoltre molto strano appare il comportamento del Ministro degli Esteri Shevardnadze che appare completamente allineato alle decisioni del presidente.
Anche Shevardnadze era un infiltrato dunque? Forse nessuno dei due erano degli infiltrati ma semplicemente il Ministro degli Esteri non si oppose all’immobilità di Gorbaciov per non perdere la sua posizione all’interno del governo. Infatti lui aspirava alla presidenza della Georgia, cosa che poi è avvenuto dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica. Avrebbe però potuto opporsi o dettare delle condizioni almeno un po’ favorevoli per il paese che stava rappresentando. Ma nessuno dei due ebbe il coraggio o la voglia di dettarle e il risultato fu la completa accettazione di quanto proposto da Washington.
Visto quanto accaduto con la riunificazione tedesca e con l’ascesa alla presidenza dell’Unione Sovietica di Eltsin, un personaggio controverso e, come Gorbaciov, completamente succube dell’occidente, alla Casa Bianca fu maturata la consapevolezza che l’espansione della Nato ad est era un processo che poteva concretizzarsi senza particolari problemi. Era sufficiente lisciare il pelo di Eltsin, come avevano fatto con quello di Gorbaciov, per il suo verso ed il gioco era fatto.
Nel 1993 il vicesegretario di Stato Strobe Talbott, con un articolo pubblicato sull’influente rivista Foreign Affairs tracciava le linee guida della futura espansione ad est della Nato.
Nell’articolo era tracciato un vero e proprio piano di espansione dell’Alleanza atlantica ai paesi ex socialisti. Le prime nazioni che sarebbero state inglobate nella Nato sarebbero state Polonia, Repubblica Ceca e Ungheria, successivamente sarebbe stato il turno dei restanti paesi dell’Europa orientale comprese le repubbliche baltiche che confinano direttamente con la Russia. Era prevista perfino una terza fase ritenuta più complicata delle precedenti ma di alto valore strategico, dato che prevedeva l’adesione di Ucraina e Georgia.
Ecco quindi delinearsi gli interessi strategici degli Stati Uniti in Europa che già dal 1993 vedevano nell’Ucraina una delle nazioni da inglobare nell’Alleanza Atlantica per terminare di accerchiare la Federazione Russa.
Nel 1995 la leadership russa iniziò a chiedersi a quale costo sarebbe avvenuta l’espansione della Nato ad est e se era possibile a quel punto cercare di opporsi. Il Ministro degli Esteri del governo di Eltsin Kozyrev mandò a Washington un suo incaricato per trattare le condizioni dell’espansione ma, non avendo avuto l’incarico ufficiale da parte del governo, non fu troppo considerato e non ottenne praticamente nulla .
Una fuga di notizie che coinvolgeva lo stesso Ministro degli Esteri Kozyrev, un personaggio molto vicino agli Stati Uniti, provocò molto scompiglio nel governo. Secondo queste informazioni Kozyrev era favorevole all’espansione della Nato ed in cambio aveva avuto l’assicurazione che non sarebbero state installate armi nucleari e basi militari nei nuovi paesi aderenti all’alleanza. Ancora un’altra assicurazione verbale che ovviamente non avrebbe avuto alcun valore tra le parti.
Durante un vertice dei paesi della Comunità degli Stati Indipendenti (CSI) il presidente aveva dichiarato in modo inequivocabile che non gradiva l’avvicinamento dell’Alleanza alle frontiere russe e che ciò rappresentava una linea rossa da non oltrepassare.
Eltsin, che in quel momento non appoggiava l’espansione della Nato, avendo appreso che Kozyrev era invece favorevole, contravvenendo le direttive politiche del governo, lo costrinse a dimettersi nel gennaio 1996. Al suo posto fu nominato Primakov, uomo politico molto più preparato e non obbediente agli Stati Uniti come invece lo era Kozyrev.
Fino a quando diresse l’Svr Primakov non partecipò al dibattito pubblico, ma le sue posizioni erano note almeno dal 1993, quando l’agenzia di intelligence pubblicò un rapporto che giudicava i piani di espansione della Nato una seria minaccia per la Russia: già da quel momento Primakov aveva messo in discussione la linea politica di Kozyrev.
Da Eltsin Primakov aveva ricevuto l’ordine di continuare a condurre le trattative con gli Stati Uniti cercando di farlo da posizioni più equilibrate. Per Primakov erano importanti gli interessi nazionali e per questo, se da Washington avessero eretto palizzate insormontabili, era pronto persino allo scontro. Scontro che Eltsin però non era disposto a sostenere fino in fondo: il presidente pensava che si doveva raggiunger un accordo con gli amici di oltre oceano. Perché anche Eltsin, come del resto aveva fatto il suo predecessore Gorbaciov, pensava che dagli Stati Uniti avrebbero ascoltato le esigenze della Russia come fanno i buoni amici.
Primakov condusse così una trattativa molto serrata con l’allora segretario generale della Nato, Javier Solana, cercando di definire le condizioni e i limiti dell’allargamento a Est dell’Alleanza atlantica. Riuscì a ottenere risultati concreti, come l’”Atto Istitutivo sulle Relazioni Vilaterali tra Russia e Nato, la Cooperazione e la Sicurezza”, che venne siglato nel 1997.
Nel documento venivano fissati dei limiti all’adesione dei paesi dell’Europa orientale alla Nato, non era un atto giuridicamente vincolante, ma Washington si impegnava comunque a non schierare armi nucleari nei nuovi stati membri, a non installarvi basi militari e a non stanziarvi un numero considerevole di militari.
Accordo che poi non verrà rispettato dalla Nato. Sempre nel 1997 fu firmato un accordo che prevedeva che in caso di minacce alla sicurezza europea le parti si sarebbero consultate al fine di trovare una soluzione comune, altro pezzo di carta senza alcun valore e sistematicamente disatteso.
L’azione di Primakov, che avrebbe potuto far ottenere molto di più al paese, fu osteggiata sia da alcuni settori del governo che dall’elite degli oligarchi che controllavano l’economia e la politica del paese. Lo stesso Berezovskij attraverso la sua televisione condusse una campagna denigratoria nei confronti del Ministro degli Esteri. Pensavano che occorreva raggiunger un accordo con l’occidente al più presto anche a scapito di sacrificare gli interessi della Russia. Il tentativo di negoziare condizioni migliori per la Russia era inopportuno, anzi, addirittura dannoso. ovviamente per gli interessi economici degli oligarchi.
Lo stesso Eltsin ostacolò il lavoro diplomatico di Primacov. Se da un lato si opponeva all’allargamento della Nato, dall’altro, per ben apparire all’estero, e questo gli piaceva in modo particolare, chiedeva che un accordo si raggiungesse al più presto possibile. Infatti agli inizidel 1997 il presidente aveva in agenda un incontro con Clinton, a Helsinki, e desiderava che il testo dell’Atto istitutivo fosse pronto in tempo per quella data ma Primakov chiedeva più tempo per ottenere maggiori garanzie dagli Stati Uniti. Tempo che non fu concesso da Eltsin che pensava di parlare a alla pari con il Presidente statunitense. Purtroppo solo lui lo pensava perché alla Casa Bianca non passava neppure per l’anticamera del cervello la possibilità che tra le due parti ci fosse un rapporto di parità: glielo facevano credere, come fecero anni prima con Gorbaciov. Questa idea a Eltsin sempre è frullata nella mente ma alla resa dei conti spesso lo ha portato a compiere scelte inopportune e in contrasto con gli interessi del paese di cui era il presidente.
L’occidente ha sempre fatto credere a Eltsin che stavano trattando alla pari, lo stesso Clinton aveva bisogno di una Russia malleabile per portare a termine l’allargamento ad est della Nato. Una Russia che non opponesse veti all’espansione e grazie all’ego di Eltsin ciò fu relativamente facile. Primakov era convinto che si sarebbero potute ottener maggiori garanzie e condizioni favorevoli per la Russia ma lo stesso Eltsin, convinto di avere un rapporto particolarmente amichevole con Washington, gli impedì di proseguire.
I buoni rapporti con Eltsin erano dunque necessari per convincerlo ad assecondare le richieste occidentali. Eltsin disse trionfalmente: “Io e Bill abbiamo raggiunto un’intesa” , in realtà non c’era stato nessun accordo perché erano state accettate tutte le condizioni imposte dagli Stati Uniti.
Gli Stati Uniti poi si rifiutarono di riconoscere valore legale e vincolante, all’accordo Russia-Nato argomentando che per la sua approvazione occorreva che tutti i parlamenti degli stati membri avrebbero dovuto approvarlo. Cosa non difficile perché in quel momento non facevano parte della Nato i governi dei paesi appartenenti all’ex Patto di Varsavia molto ostili alla Russia. Fu detto poi che questo avrebbe comportato tempi lunghi. Semplicemente a Washington sapevano che anche questo accordo sarebbe dovuto finire assieme agli altri accordi firmati ovvero in fondo ad un cassetto.
Inoltre gli Stati Uniti oltre a non ratificare l’accordo sottoscritto usarono l’Atto istitutivo come alibi per giustificare l’illimitata espansione della Nato ad est. Quando, nel 2001, gli Stati Uniti annunciarono la seconda tappa dell’allargamento ai paesi dell’Europa orientale Putin si irritò ma non poté opporsi perché sapeva che era troppo tardi per cercare di impedire l’adesione di nuovi stati: l’Atto istitutivo firmato da Eltsin non poneva limiti geografici e non era vincolante quindi. anche per non creare una crisi con l’occidente, accettò a collo torto l’espansione.
Ed eccoci ad oggi dove l’Alleanza Atlantica non fa altro che continuare con il suo programma di allargamento per completare l’accerchiamento della Federazione Russa. Ecco perché l’integrazione dell’Ucraina, ultimo pezzo assieme a Georgia e Bielorussia, è di così stringente necessità per Washington e per il suo braccio armato ovvero la Nato.
Infine bisogna ringraziare Gorbaciov ed Eltsin per non essersi opposti all’espansione dell’Alleanza Atlantica quando ne avevano le possibilità. Due presidenti che non hanno mai pensato agli interessi della nazione che rappresentavano ma che vivevano, in modo anche apparentemente diverso, solo per il loro ego e la loro voglia di essere considerati all’estero come grandi statisti politici di un paese immenso che negli anni precedenti aveva messo in difficoltà l’espansione capitalistica degli Stati Uniti.
Andrea Puccio – www.occhisulmondo.info