Jair Bolsonaro e Sergio MoroJair Bolsonaro e Sergio Moro

BRASILE OGGI: SAPPIAMO CHE SAPPIAMO 

di Teresa Isenburg

 

Ovviamente in questo periodo l’attenzione del “mondo” è volta alla realtà crudele di Ucraina e Russia. Ritengo tuttavia che non sia inutile non perdere di vista anche quello che accade altrove.

Nella fase attuale di ridefinizione delle interdipendenze mondiali in conseguenza ai cambiamenti reali nei rapporti di forza fra le principali potenze il confronto avviene in diversi scenari. Nella disattenzione generale continua e forse si compie la persecuzione di Julian Assange, la repressione e aggressione contro i palestinesi in Israele sale un ulteriore scalino, in Pakistan è successo qualche cosa di oscuro, in Sud America in Colombia il cammino per le elezioni presidenziali del 29 maggio è punteggiato da quotidiane esecuzioni di leaders dei movimenti sociali e minacce di golpe militare, in Brasile l’esecutivo promuove il caos e l’eversione. Proverò dunque a dare qualche informazione su quello che avviene in quest’ultimo paese nelle recenti settimane.

Nella Federazione si terranno le consultazioni politiche il 2 ottobre 2022 per la elezione diretta del presidente della Repubblica e dei governatori dei 26 stati più il distretto federale, della camera dei deputati, di un terzo del senato e delle assemblee legislative degli stati. Per il presidente ed i governatori qualora non venga raggiunto il 50%+1 dei suffragi vi è un secondo turno il 30 ottobre.

Al momento le forze politiche sono impegnate a definire alleanze, liste elettorali, strategie comunicative. Per la presidenza della Repubblica i candidati di maggior peso sono l’ex presidente Luiz Inácio Lula da Silva, con – vice – Geraldo Alkmin già governatore di San Paolo ed espressione del centro democratico, e Jair Bolsonaro che non ha ancora indicato il proprio vice dovendo equilibrarsi fra le pressioni dei settori che lo sostengono, i militari, i pentecostali, le milizie e, in ambito politico, le forze del centro destra non particolarmente fedeli alle istituzioni.

Ci sono candidati minori, ma quella che avrebbe dovuto emergere come terza forza lontana dalla cosiddetta polarizzazione non decolla in nessun modo.

È una elezione importante. Va infatti tenuto presente che dal 2016 il Brasile naviga in una situazione assai lontana dal rispetto dello Stato democratico di diritto e dell’ applicazione puntuale della Costituzione del 1988.

Per due anni, fra il 2016 e il 2018, ha occupato la massima carica dell’esecutivo Michel Temer dopo la deposizione anticostituzionale della presidente Dilma Rousseff, nei confronti della quale cadono uno dopo l’altro i processi che la concernono, mentre la sua deposizione non è mai stata omologata dagli organismi competenti.

Nel 2018 è stato poi eletto Jair Bolsonaro attraverso un percorso elettorale manipolato, sia impedendo fraudolentemente la candidatura di Lula, sia utilizzando in modo abusivo forme di propaganda ingannevole attraverso i mass media e i social. È bene sottolineare che l’ex presidente Lula è stato assolto da tutti i processi che erano stati mossi contro di lui, a conferma dell’azione eversiva nei suoi confronti compiuta in vari livelli del potere giudiziario.

Come è facile immaginare, dal momento che l’esecutivo in carica non rispetta le regole costituzionali, esso cerca in ogni modo di manipolare le prossime consultazioni politiche creando un clima di tensione e caos per delegittimare anticipatamente risultati che non gli siano favorevoli.

Riprendo le parole di un giornalista molto rispettato e professionale che sintetizza uno dei nodi che al momento soffoca lo Stato democratico di diritto. “Nessun presidente legittimo, dalla fine della dittatura di Getúlio Vargas nel 1945 – e passando senza respirare sulla dittatura militare –  abbia dato tanti motivi per essere investigato con rigore, esonerato via impeachment e processato, ma ha contato con una tale protezione e tolleranza per i suoi indizi criminali, quanto Jair Bolsonaro. Non c’è polizia, non c’è giudiziario, non c’è Congresso, non c’è ministero pubblico, non c’è legge che sottoponga Bolsonaro a quanto gli spetta”, protesta il giornalista Janio de Freitas nella sua colonna sul quotidiano Folha de São Paulo del 9 aprile 2022. Ed è palese che una spessa coltre di impunità e omissione protegge il presidente e il gruppo più fedele dei suoi collaboratori con incarichi di governo o seggio parlamentare.

Nelle ultime settimane diversi accadimenti hanno aggiunto nuove pagine alla gestione spigliata della cosa pubblica che caraterizza il quadriennio che si avvia alla conclusione. Ha avuto una forte eco la notizia che parte delle disponibilità del Fondo per lo sviluppo dell’educazione di base del Ministero dell’educazione veniva indirizzato, su indicazione di due pastori dell’area pentecostale, a sindaci di determinati municipi con trattative non protocollari. I pastori pentecostali, che vantavano presso il ministro credenziali presidenziali, avevano libero e frequente accesso al dicastero e, da quello che è dato sapere, al Palazzo del Planalto, sede di lavoro del presidente. L’enormità dell’irregolarità è evidente e la fondatezza della denuncia sembra confermata dal sollevamento dall’incarico il 28 marzo 2022 del ministro Milton Ribeiro, pastore presbiteriano, portato in palmo di mano dal presidente. Lo sforzo per insabbiare la vicenda è titanico, in primo luogo cercando di impedire una commissione parlamentare di inchiesta. Ma la Corte dei conti continua a trovare irregolarità (per usare un eufemismo) nell’area dell’educazione di base.

A metà aprile una grande rete televisiva ha dato notizia del lavoro svolto dall’avvocato Fernando Fernandes e dallo storico della Università Federaledi Rio de Janeiro Carlos Fico sul contenuto di 10.000 ore di registrazione delle sessioni (anche segrete) del Superiore Tribunale Militare degli anni della dittatura.

Dalla viva voce delle registrazioni si conferma la perfetta conoscenza della pratica della tortura che ha accompagnato tutti gli anni della dittaura militare, pratica sulla quale i militari, quindi l’apparato dello Stato, discutevano e ragionavano tranquillamente. Cose tutte documentate ampiamente e in modo incontestabile dal vasto lavoro della Commissione nazionale della verità (novembre 2011-dicembre 2014) voluta e difesa con coraggio dalla presidente Dilma Rousseff.

La diffusione di queste voci che vengono sonore dal passato hanno offerto al vice presidente, generale Hamilton Mourão, e al presidente del Superiore Tribunale Militare generale, Luís Carlos Gomes de Mattos, l’occasione di effettuare dichiarzioni di distillata volgarità e mancanza di rispetto per i propri concittadini, proprio in coincidenza della ricorrenza del golpe del 31 marzo 1964. Il presidente,si sa, loda sempre i torturatori e il regime militare. Ancora una volta, una manipolazione che vuole riscrivere la storia disprezzando il dettato costituzionale. Traduco alla fine di questo pezzo l’articolo del docente di diritto sulla vicenda brasiliana.

Infine il 20 aprile il Supremo Tribunale Federale/STF ha condannato il deputato Daniel Silveira a poco meno di 9 anni di reclusione, perdita del mandato e ineleggibilità per un certo periodo per tentativo di impedire il libero esercizio dei poteri dell’Unione. Questo oscuro deputato di Rio de Janeiro fa parte dei bravi del circolo più prossimo di Bolsonaro. Inizialmente noto per avere distrutto una targa dedicata a Marielle Franco, nel corso del mandato il suo agire da squadrista ha alzato il tiro, attaccando i giudici della Corte Suprema, chiedendo la chiusura del Parlamento, il ripristino dell’Atto istittucionale 5 della dittatura militare, al fine di promuovere una rottura istituionale. Il tutto con atti di forte violenza e uso massiccio di reti sociali.

Nei suoi confronti per molto tempo la Camera dei deputati è stata inattiva ed infine il STF in base alle sue attribuzioni e in concordanza con la Procura generale della Repubblica ha avviato il processo, concludendo nelle parole del relatore Ministro Alexandre de Morais che “la libertà di epressione esiste per la manifestazione di opinioni contrarie, giocose, satiriche o erronee, ma non per opinioni criminali, per discorsi di odio, per attentati contro lo Stato  democratio di Diritto e la democrazia”.

Nel giro di 24 ore il presidente della Repubblica ha concesso la grazia costituzionale a Daniel Silveira, un atto politico che vuole coronare mesi e mesi di contrapposizione al potere giudiziario da arte del potere esecutivo, utilizzando in modo improprio una attribuzione presidenziale.

La crisi istituzionale volutamente costruita è grave e mira a rendere teso e confuso il periodo elettorale che si profila nei prossimi mesi. E ancora poche ore dopo tale esternazione il presidente anticipava che non intendeva rispettare le decisioni del STF sulla questione del marco temporale delle Terre Indigene, questione che al momento è al vaglio di costituzionalità da parte della suprema corte, qualora esse non coincidessero con il suo intendere.

Da ormai otto anni il Brasile vive una situazione di grande incertezza istituzionale, con un succedersi di abusi e strappi rispetto alle norme vigenti, come risulta dai molti ricorsi presso varie commissioni delle Nazioni Unite. Una condizione quindi di cui la cosiddetta comunità internazionale ben sa. Ma la forze democratiche del paese non hanno trovato particolare rispondenza presso questa che si autodefinisce, con termine che suscita, forse in modo illusorio, speranza, comunità. Oggi, in una situazione di distratto e non giustificato disinteresse internazionale, tutte le espressioni democratiche del paese hanno un compito chiaro: riportare sui binari dello Stato democratico di diritto la Federazione, binari dai quali essa è stata brutalmente e volutamente fatta deragliare da una convergenza di interessi interni e internazionali minoritari, ma potenti. Un compito irrinunciabile e difficile le cui conseguenze vanno al di là dei confini nazionali.

 

E IL GIUDICE SCOPRI’ LA TORTURA 

di Lenio Luiz Streck, Conjur 

 

I giorni recenti mostrano che la letteratura arriva sempre prima. L’angustia dei torturati, il riso dei torturatori… Da” Memorie del carcere” (di Graciliano Ramos) a “Nella colonia penale” di Franz Kafka la letteratura è implacabile.

 

Nel romano ” Aspettando i barbari” del Premio Nobel J.M.Coetzee il personaggio – giudice scopre che nel forte si praticava tortura e ha un dilemma: che fare adesso che si sa?

Dice, meditabondo,il giudice:

“Quindi ora sembra che i miei anni di tranquillità stiano giungendo alla fine, mentre potrei dormire con il cuore tranquillo, sapendo che con un colpo qui e una spinterella lì il mondo continuerebbe saldo nel suo corso. Solo che, ahimé! io non sono sono andato via: per qualche tempo ho coperto le orecchie contro i rumori che giungevano dalla capanna vicina al fienile dove tenevo gli attrezzi, poi, una notte, ho preso una torcia e sono andato a vedere di persona”.

Torturavano. Sono andato a vedere di persona…! E adesso, pensa il giudice – personaggio, che fare? Per anni ho coperto le orecchie.No, non volevo sentire.

Così come fa la società brasiliana. No, no, non mi parlare di questo argomento, direbbe il generale. “Non disturbare la mia Santa Pasqua”, dice il presidente del STM/Superiore Tribunale Militare (interessante l’ironia della storia: il generale-presidente del STM è stato scelto per fare parte del Tribunale Militare nel 2011 da Dilma Rousseff…). Il generale avrebbe almeno potuto educare il proprio linguaggio. L’argomento lo richideva, nevvero? Non è stato adeguato alla sua carica, e a chi lo ha indicato per il tribunale, il disprezzo. Non solo verso le vittime, ma anche verso i sui colleghi del Superiore Tribunale Militare di allora.

La posizione del presidente del STM fa rima e si completa, quanto a disprezzo, con il riso del vice presidente della Repubblica. Come si dice con espressione popolare, si è preso gioco della sofferenza e della morte.

C’è una domanda nell’aria: come possiamo comportarci con dignità nell’imbatterci con le recenti divulgazioni degli audio del Superiore Tribunale Militare brasiliano che attestano qualche cosa che tutti sapevamo … la tortura?

Sapevamo che sapevamo, anche perché avevamo visto il presidente della Repubblica rendere omaggio a un torturatore. Non possiamo negare che sapevamo.

E abbiamo fatto orecchie da mercante?

Sappiamo che sappiamo! Non è possibile tappare le orecchie. Congratulazioni all’avvocato Fernando Fernandes, per l’instancabile lavoro per rendere disponibili le migliaia di ore di registrazione. Il Brasile è con te in debito, caro Amico. Non c’è altro da dire. E saluti al professor Carlos Fico. Tutti siamo con lui in debito.

Rimane da sapere se chi deve sapere già sa.

Perché tutti noi sappiamo che sappiamo. Sappiamo che sappiamo che sappiamo.

Rimane da sapere che fare quando si sa che si sa. 

 

Traduzione di Teresa Isenburg

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