COLOMBIA UN RISULTATO STORICO
di Marco Consolo
Lo scorso 13 marzo, le prime elezioni parlamentari in Colombia dopo la firma degli accordi di pace tra il governo e la guerriglia delle FARC-EP hanno portato ad una vittoria dei settori democratici del paese, contro l’estrema destra al governo che aveva promesso di “fare a pezzi gli accordi di pace”.
Come si ricorderà, oltre alle elezioni per Camera e Senato, si votava anche per le primarie interne alle 3 coalizioni principali (Pacto Historico, Centro Esperanza, Equipo por Colombia, rispettivamente centro-sinistra, centro-destra ed estrema destra).
Ha votato circa il 55% dell’elettorato, con un’alta astensione che, in generale, si riduce nelle elezioni presidenziali.
La coalizione di centro-sinistra “Patto Storico” (a cui ha partecipato anche il Partito Comunista) è oggi la principale forza politica in Colombia. Non solo perché ha ottenuto i maggiori consensi sia al Senato, che alla Camera, ma anche per il risultato straordinario del candidato presidenziale Gustavo Petro, che nelle primarie interne per la candidatura ha superato di gran lunga quello di tutti gli altri candidati.
A questo risultato ha contribuito il logorio politico del governo, la crisi economica (sia per le politiche neo-liberiste, che per la pandemia), la caduta verticale del consenso dell’attuale presidente Ivan Duque e del suo mentore Alvaro Uribe, e la grande mobilitazione sociale di piazza dei mesi scorsi.
Il voto per il Patto Storico è doppiamente significativo, vista la massiccia compravendita di voti promossa dalle mafie dei partiti tradizionali e dei nuovi partiti dell’oligarchia (vedi foto di apertura); la forte pressione di alti funzionari statali sui lavoratori del pubblico impiego; lo spiegamento degli apparati elettorali multimilionari dell’establishment, sostenuti dagli appalti pubblici.
È stata anche una vittoria contro la guerra sporca, le bugie e le calunnie diffuse dalla destra e dai suoi potenti latifondi mediatici.
Per la prima volta in 200 anni, questi risultati aprono la possibilità di un cambiamento alternativo e progressista in Colombia. Con leggero ottimismo, possono essere visti come l’inizio del cambiamento della cultura politica nel Paese, che rafforza la speranza di un’altra vittoria nelle prossime elezioni presidenziali del 29 maggio. E’ un risultato storico, ottenuto nonostante le gravi violazioni sistematiche dei diritti umani, sociali e ambientali, nonostante la repressione, gli omicidi dei dirigenti sociali e degli ex-guerriglieri, le sparizioni forzate, gli sfollamenti e la criminalizzazione della lotta sociale. E nonostante un sistema elettorale antidemocratico, con un’alta soglia di sbarramento, senza proporzionalità nella distribuzione dei seggi, e con scarsa volontà di affrontare l’endemica corruzione elettorale.
Un altro campanello d’allarme è stato il sospettoso oscuramento della pagina web della Registraduría il giorno delle elezioni, che ha rafforzato le accuse credibili di distorsione dei risultati.
Nonostante tutto questo, il Patto ha ottenuto più voti sia al Senato, che alla Camera ed alle sue primarie interne hanno partecipato cinque milioni e 800 mila persone, di cui quattro milioni e mezzo hanno votato Gustavo Petro Urrego, candidato presidenziale vincitore della coalizione.
In base ai primi conteggi (non ancora ultimati), oltre 2.600.000 voti del Patto al Senato gli hanno permesso di avere 19-20 seggi, una buona base di partenza per le necessarie alleanze con altri settori politici. Sarebbe andata ancora meglio se non si fosse presentata a parte un’altra lista a sostegno di Gustavo Petro, ma con voto preferenziale. Infatti, Fuerza Ciudadana (una lista progressista con base di appoggio regionale) non ha superato la soglia di sbarramento, con circa 400.000 voti persi, che avrebbero permesso al campo alternativo di contare con altri 4 senatori.
Per quanto riguarda la Camera, i circa 2,6 milioni di voti del Patto si sono trasformati in 25-26 seggi, compreso quello dei colombiani all’estero, vinto da Carmen Felisa Ramírez Boscán, esponente dei popoli originari costretta all’esilio, che ha rotto l’egemonia dell’uribismo all’estero.
Deludente il risultato del partito Comunes, nato dalle ex FARC-EP, che con circa 25.000 voti al Senato segnala una sconfitta politica annunciata.
La destra perde terreno nella Colombia profonda
A questi seggi vanno aggiunti quelli del Patto Storico nel dipartimento di Bolívar, e nel dipartimento di Meta, oltre ai seggi del Patto in coalizione con Alianza Verde nei dipartimenti di Tolima e Caldas.
Stessa situazione per i due seggi vinti dalla coalizione Polo Democrático-Alianza Verde nel dipartimento di Risaralda e il seggio vinto da Fuerza Ciudadana nel dipartimento di Magdalena, portando a 32 il numero di seggi “progressisti” alla Camera.
Ci sono inoltre altri possibili alleati, in entrambe le camere, delle circoscrizioni “indigene”, come Aída Marina Quilcué, eletta al Senato dal Movimento di Alternativa Sociale e Indipendente (Maís).
Infine, bisogna notare che i partiti del bipartitismo tradizionale (il partito conservatore e quello liberale) hanno saputo oliare bene la macchina elettorale e recuperare spazio, ottenendo il secondo e il terzo posto in entrambe le camere, mantenendo una base elettorale significativa con risultati di tutto rispetto. Le due forze tradizionali hanno però una contraddizione curiosa: rimangono con una importante presenza parlamentare, ma non sono un’alternativa presidenziale. In ogni caso, i liberali sono l’ago della bilancia del futuro parlamento.
Viceversa, i partiti più contestati, Cambio Radicale, la U e il “Centro Democrático” (Uribismo) hanno perso terreno e seggi. Non sono stati sufficienti nè il controllo dell’apparato burocratico, nè l’investimento multimilionario per l’acquisto di voti, come ampiamente denunciato nei giorni scorsi.
In definitiva, l’establishment rimane forte nelle regioni, ma il Patto Storico ha aperto un varco nella sua egemonia.
Un elemento preoccupante è la cooptazione di un gran numero dei 16 nuovi “seggi per la pace”: invece di andare alle vittime, diversi sono andati a partiti oligarchici, mafie politiche e persino a soggetti come il figlio di un noto paramilitare condannato, alias Jorge 40, che si è presentato da solo nel dipartimento di Córdoba, dato il ritiro degli altri contendenti.
Cauca e Cali capitali della resistenza
La partecipazione elettorale delle diverse forze del Patto Storico va analizzata nel contesto delle lotte sociali e della massiccia resistenza giovanile e popolare che il Paese ha vissuto dal 28 aprile 2021, durante circa tre mesi. Proteste che hanno chiesto diritti sociali, ma sono state duramente represse nel sangue dal regime di Iván Duque.
In questo senso, è storico il risultato del Patto nella Valle del Cauca, uno dei luoghi più attivi delle proteste. In questa zona, il “progressismo” non aveva nemmeno un rappresentante alla Camera e ora ne ha cinque, ed il Patto è la principale forza politica nel dipartimento. Senza volere analizzare il voto in maniera meccanicista, è un segnale che la resistenza popolare dopo essersi espressa nella strade, lo ha fatto anche nelle urne.
I 400.000 voti per il Patto nel dipartimento e i 215.000 voti ottenuti a Cali costituiscono una sconfitta per l’estrema destra, (Uribismo, Cambio Radicale, Conservatorismo ed altri nella regione), che ha scommesso sul discredito della legittimità della protesta, e su di un’ illusorio “castigo” verso la sinistra alle urne. Viceversa, il “voto castigo” c’è stato nei confronti dell’estrema destra, della sua politica di odio e persecuzione contro i giovani e la popolazione nello Sciopero Nazionale. Una destra che ha appoggiato la brutale repressione ed è stata complice attiva del paramilitarismo urbano, guidato da settori della classe ricca di Cali e dei comuni della Valle. Ricordiamo che questa zona è stata duramente colpita dalla repressione di Iván Duque, con un tragico saldo di 48 omicidi a Cali e 18 nei comuni del dipartimento.
Il risultato elettorale si deve anche all’accumulazione storica di anni di lotte popolari di cui la popolazione di Cali è stata protagonista, fino ai giorni nostri. Prima diventare la capitale della Resistenza nel 2021, Cali è stata al centro delle storiche battaglie sociali e politiche contro la passata dittatura di Gustavo Rojas Pinilla e le politiche repressive del regime del Fronte Nazionale, ed oggi è diventata la capitale anti-Uribe della Colombia. Lo dimostrano i risultati delle elezioni e l’appoggio a Petro di 290.000 cittadini di Cali nella Consulta.
Insieme alla forte crescita della partecipazione delle donne, quella di domenica scorsa è stata anche la vittoria della gioventù, con un’alta partecipazione alle urne che si spera possa raddoppiare nelle prossime elezioni presidenziali del 29 maggio, in cui Petro ha il difficile obiettivo di vincere al primo turno.
Verso le presidenziali di maggio
Nella sua strategia elettorale, Petro sta definendo la proposta di vice-presidente, provando a ottenere una confluenza più ampia, con settori che non lo hanno appoggiato, ma che non piacciono a molti nel Patto.
Una candidata “naturale” a ricoprire questa funzione, è Francia Márquez (nera, dirigente sociale ed ambientalista) che è arrivata seconda alle primarie del Patto con quasi 800.000 voti, (superando anche il vincitore della consultazione di centro-destra, Sergio Fajardo). Un risultato straordinario, ma gran parte di questo voto si deve all’appoggio del Polo Democrático, partito che fa già parte della coalizione Patto Storico.
Molti analisti sottolineano la necessità di vincere al primo turno, poiché il ballottaggio sarebbe molto pericoloso per l’obiettivo del Patto Storico di insediarsi nella Casa de Nariño.
Per farlo, oltre a dover convincere chi non è andato a votare in questa occasione, sembra necessario allargare le alleanze elettorali. Nel suo primo discorso come candidato presidenziale, Petro ha affermato che: “Gli unici che non hanno posto qui sono i corrotti e i genocidi”, aprendo alla creazione di uno spazio politico che vada oltre il Patto Storico, che ha chiamato Frente Amplio sulla falsa riga di altre formazioni politiche latino-americane.
Manovre a destra
L’Uribismo ha subito una catastrofe perdendo 20 seggi, anche se la sua base di appoggio non è certo scomparsa. Meno enfasi viene data all’altro risultato, ancora più importante: è rimasto senza un candidato alla presidenza, obbligandolo a negoziare con altre forze che non generano entusiasmo al suo interno. La destra sa bene che Petro e il Patto Storico sono in testa, ed iniziano le prime diserzioni, come quella di Óscar Iván Zuluaga, uribista già sconfitto nel 2014, che ha rinunciato ad unirsi a Federico Gutiérrez, il candidato “forte” e quasi obbligato della destra che si presenta divisa all’appuntamento elettorale.
Per il momento, ci sono nove concorrenti presidenziali contro Petro, ma sono molto probabili nuovi ritiri nelle prossime settimane. A destra, la maggior parte dei ritirati appoggierà Federico Gutiérrez, che però ha ottenuto solo 2.160.000 voti nelle primarie dell’estrema destra (meno della metà dei voti di Petro), e che ha urgente bisogno di rafforzare la convergenza degli altri candidati su di sè.
Per quanto riguarda Germán Vargas Lleras, gli scarsi risultati del suo partito, Cambio Radical, non lo collocano in una buona posizione e tutto indica che si potrebbe ritirare nei prossimi giorni.
Finora, a destra sono ancora in gara Federico Gutiérrez e Sergio Fajardo (il candidato di centro che ha ottenuto solo 721.000 voti nelle primarie del centro-destra), ed altri cinque candidati che non hanno partecipato alle primarie, tra cui Ingrid Betancourt (di Oxígeno Verde).
E’ chiaro che la divisione a destra con almeno 2 candidati, favorirebbe la vittoria di Gustavo Petro, cosa che preoccupa innanzitutto l’ambasciata statunitense. Come si sa, i diversi governi della Casabianca, pur di difendere i propri interessi, hanno appoggiato economicamente e militarmente anche i governi colombiani con marcate caratteristiche narco-paramilitari. La Colombia è oggi “socio globale della Nato” e l’amministrazione Biden spinge per stringere ancor di più i rapporti per consolidare la base di aggressione contro i governi progressisti della regione, in particolare quello venezuelano.
E D’Alema ?
E a proposito di Colombia ed Italia, è bene ricordare che, in base a recenti inchieste giornalistiche, Massimo D’Alema ha fatto da mediatore tra i mercanti d’armi italiani (Leonardo in testa) e i tagliagole paramilitari con coperture nel governo colombiano, per vendere fregate, sommergibili ed elicotteri. Alla fine, la transazione pare non si sia conclusa, lasciando a bocca asciutta “il baffetto” e i suoi affari con un governo corrotto, omicida ed amico dei narco-trafficanti.
Marco Consolo – Resp. Esteri Partito della Rifondazione Comunista S.E.