LA CINA SANZIONATA PERCHE’ SFIDA LA PRETESA DI DOMINIO UNIVERSALE DEGLI STATI UNITI. PARLA L’AMBASCIATORE BRADANINI
di Giordano Merlicco*
Alla fine di marzo, Usa e Ue hanno imposto sanzioni contro la Cina. In proposito, il FarodiRoma ha intervistato Alberto Bradanini, che da ambasciatore ha rappresentato l’Italia a Honk Kong e Pechino. Bradanini è uno dei massimi esperti di questioni cinesi nel nostro paese e, terminata la carriera diplomatica, ha iniziato una proficua attività pubblicistica. Nel 2018 ha dato alle stampe “Oltre la Grande Muraglia” e prossimante, per i tipi di Sandro Teti, vedrà la luce la sua ultima fatica “Cina: l’irresistibile ascesa”.
Ambasciatore, come giudica le recenti sanzioni contro Pechino adottate da Stati Uniti e Unione Europea?
Sul piano del diritto internazionale si tratta di sanzioni illegittime perché unilaterali non essendo state decretate da un organismo come il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Sono una manifestazione della guerra fredda dichiarata dagli Stati Uniti a un paese, la Repubblica Popolare, che per il suo peso economico aspira legittimamente a occupare il suo spazio nel mondo. L’impero statunitense – la sola nazione indispensabile, secondo il lessico patologico di Bill Clinton (1999) – intende continuare a dominare il mondo con le buone o le cattive, basti pensare che ha installato 800 basi militari in 75 paesi.
Oggi, però, l’impero è in difficoltà. La sua economia è meno imprescindibile di un tempo davanti all’emergere di altre nazioni, mentre la sua credibilità è in caduta libera, tra conflitti illegittimi e violazioni sistematica di diritti umani. Altro che Xinjiang e Hong Kong: 600mila morti in Iraq, 250.mila in Siria, almeno 20 mila in Libia e altre migliaia nello Yemen e in Afghanistan (tralasciando feriti e sfollati). E poi Guantanamo, le torture ad Abu Graib, genitori immigrati separati dai figli (Trump), divieto di ingresso ai mussulmani, o ancora la persecuzione contro il giornalista Julian Assange e via dicendo.
In buona sostanza, i diritti umani quale pretesto per imporre sanzioni alla Cina possono essere presi sul serio solo dagli sprovveduti, poiché è difficile immaginare che allo stato profondo Usa (Cia compresa) importi qualcosa dei musulmani turcomanni. Tutto ciò non deve intendersi quale assoluzione per le insufficienze del sistema cinese nello Xinjiang, di cui comunque si hanno solo informazioni provenienti da Ong e individui finanziati dagli Usa.
Resta evidente che la Cina deve fare i conti con il tema della libertà e della partecipazione politica, ma essa sfida la pretesa di dominio universale Usa e lavora dunque per un benemerito pluralismo politico, economico e culturale, che è garanzia di pace assai più dell’unilateralismo militarista degli Stati Uniti.
Dopo le sanzioni contro la Russia, con grave danno economico degli stati membri, l’Ue addotta sanzioni anche contro la Cina, che è il suo secondo partner commerciale.
L’Unione Europea (che non coincide con l’Europa, ma che per semplificare assumiamo qui come tale) non ha un governo né un vero Parlamento. Anzi, nemmeno una vera Banca Centrale, che sulla carta sarebbe indipendente, ma di fatto risponde alle oligarchie nordiche germano-centriche. Sono 76 anni che l’Europa è occupata militarmente dalle truppe Usa. La prima forma d’indipendenza, affermava Machiavelli, è quella militare. In tali condizioni, l’UE non può dunque considerarsi davvero indipendente, nemmeno economicamente, visti gli intrecci con la finanza globalista americano-centrica. Ciò premesso, è evidente che, nonostante i forti legami con la Cina (della quale la Germania rappresenta il primo partner commerciale con un interscambio di 200 miliardi di euro, il 50% di quello complessivo dell’UE con Pechino), Berlino non può certo ignorare le direttive provenienti da Washington. E poiché le decisioni in seno all’UE sono prese da Berlino, non è difficile intuire ciò che è successo.
Le sanzioni sono state ufficialmente motivate dallo Xinjiang, è davvero così grave la situazione in questa regione?
Come rilevato, le informazioni che ci giungono sono di fonte occidentale (vale a dire Usa) e dunque manipolate. Nello Xinjiang i siti religiosi, moschee, chiese, templi e abbazie taoiste sono 24.800 (una moschea ogni 530 musulmani, con 29.300 addetti). I corsi di laurea in studi islamici sono aperti a tutti e tutti hanno accesso al Corano e alla raccolta di Sahih al-Buhari. È vero però che tali diritti possono essere fruiti a precise condizioni, secondo Pechino, vale a dire senza pregiudicare la stabilità, la solidarietà tra etnie e gli interessi della maggioranza (gli Han), la sicurezza nazionale e l’ordine pubblico. Bisogna anche aggiungere che negli anni scorsi gli attentati terroristici da parte uigura hanno provocato 192 vittime e oltre 1000 feriti. Insomma, sulla situazione sarebbe necessario disporre di notizie di fonte terza. In ogni caso, parlare di genocidio è totalmente fuori luogo, visto che dal 1978 al 2018 la popolazione uigura è passata da 5,5 a 11,9 milioni.
Un’altra questione molto discussa è Honk Kong…
Non bisogna dimenticare che Hong Kong è territorio cinese. Le manifestazioni degli anni scorsi hanno generato apprensione perché, secondo Pechino, sono state manipolate dagli americani, un’accusa non inverosimile in effetti, alla luce della strategia anticinese dell’impero Usa di cui abbiamo parlato. Ciò detto, è evidente che il Partito Comunista Cinese, un partito marxista-leninista, non potrebbe tollerare che venissero eletti ad Hong Kong un Capo del Governo (Chief Executive) e un Consiglio Legislativo d’impronta politica anticinese (o se si vuole anticomunista). Ed è dunque per questa ragione che l’Assemblea nazionale del Popolo ha approvato delle modiche alla costituzione di Hong Kong che rendono pressoché impossibile l’avverarsi di tale ipotesi. Va tuttavia rilevato che prima del ritorno di Hong Kong alla Cina, non erano certo consentite manifestazioni politiche di sorta; il Governatore veniva nominato da Londra senza consultare nessuno, tantomeno la popolazione locale, e il Consiglio Legislativo era un mero organo consultivo, poiché le decisioni venivano adottate sempre e solo dal Governatore. Si deve poi rilevare che nei due anni di manifestazioni contro il governo non vi è stata ad Hong Kong nemmeno una vittima (basterebbe fare il confronto con la carneficina della polizia Usa contro i neri o anche con le violenze della polizia francese contro i gilet gialli).
Quali saranno gli effetti della crescita cinese sull’ordine globale?
La Cina è un attore multipolare e dunque il suo ingresso sulla scena politica internazionale è quanto mai benefico. Tale pretesa irrita fortemente la postura imperiale Usa. Va tenuto presente a tale riguardo la differenza tra i sistemi economici delle due potenze, quello Usa dominato dal corporativismo privato (che provoca conflitti di ogni sorta e impoverisce popoli e nazioni) e quello cinese centrato sulla classe di stato (Partito, burocrazia e aziende pubbliche), che è stato in grado di generare un benessere straordinario per 1,4 miliardi di persone, sconfiggendo la povertà e rappresentando un modello per i paesi che vogliono uscire dal sottosviluppo. Si tratta di un ulteriore motivo di irritazione per gli Stati Uniti.
Dunque il confronto sino-americano ha anche una valenza simbolica, culturale?
La sfida tra Stati Uniti e Cina si gioca su tre sfere: geopolitica, economia e ideologia. I due paesi sono rivali, concorrenti o nemici, a seconda dei contesti. Tuttavia sono gli Stati Uniti a voler imporre al mondo, e dunque anche alla Cina, la loro grammatica culturale.
Per il momento la Repubblica Popolare mira solo ad occupare il posto che reputa consono alla sua dimensione politica ed economica. I maggiori rischi per la pace sul pianeta vengono dunque non da un regime fascista o comunista, ma dalla cosiddetta democrazia americana (di fatto un’oligarchia finanziaria militarizzata), che è anche il nostro principale alleato-padrone. I pericoli incombenti (guerra nucleare, distruzione dell’ambiente naturale e abnorme concentrazione della ricchezza nell’1% del mondo) sono aggravati dall’aumento dell’uso della violenza da parte degli Usa, sempre più irritati da un multilateralismo che minaccia gli enormi privilegi di cui hanno sinora goduto.
*Intervista pubblicata su Il faro di Roma