Pavel DurovPavel Durov

SOCIAL MEDIA E ILLEGALITA’

 

Mentre la Procura di Parigi annuncia che il cofondatore di Telegram, Pavel Dúrov, è stato incriminato e sottoposto a sorveglianza giudiziaria, al pagamento di una cauzione di 5 milioni di euro e al divieto di lasciare il territorio francese molte domande, riguardo alle accuse a lui mosse, ancora non trovano risposta.

Pavel Durov è stato accusato di sei dei dodici capi di imputazione precedentemente notificatigli. E’ stato accusato di: 

– complicità nella distribuzione di pornografia infantile da parte di un gruppo organizzato 

–  complicità nel traffico di droga

–  frode da parte di un gruppo organizzato

–  gestione di una piattaforma online che consente la transazione illecita a una banda organizzata rifiutando di fornire informazioni o documenti richiesti da organismi autorizzati

–  fornitura di servizi di crittografia destinati a fornire funzionalità per la privacy senza la dovuta dichiarazione

– complicità nella truffa online da parte di bande organizzate, associazione a delinquere al fine di commettere un reato 

“Telegram è conforme alle leggi europee, incluso il regolamento sui servizi digitali, e la sua moderazione è in linea con gli standard del settore”, ha detto la società in una dichiarazione rilasciata domenica, aggiungendo che è “assurdo dire che una piattaforma o il suo capo è responsabile dell’abuso” che ha avuto luogo su di essa.

L’avvocato di Durov ha anche definito “assurde” le accuse contro il suo cliente. “È completamente assurdo pensare che il direttore di un social network possa essere coinvolto in atti criminali che sarebbero commessi utilizzando il suo servizio di messaggistica”, ha detto, citato dall’AFP.

Non si capisce perché Pavel Durov viene accusato di complicità per quanto pubblicato sulla sua piattaforma di messaggistica quando, da sempre, i social network sono usati dai gruppi terroristici per fare proselitismo o dai gruppi malavitosi per compiere le loro illegali attività. Per non dire poi come regolarmente vengono usati per la diffusione di immagini pedopornografiche.

A tale proposito ho chiesto ad Antonio Evangelista, esperto di anti terrorismo che ha lavorato per anni nell’Interpol monitorando tutti i social network alla ricerca di informazioni utili a combattere il fenomeno terroristico, come le piattaforme social siano usate dai terroristi o dai criminali per i loro illegali scopi.

“Durante il mio incarico in Giordania come Esperto per la Sicurezza mi sono occupato prevalentemente del fenomeno del terrorismo confessionale/religioso )ISIS, AL QAEDA,  AL NUSRA, ecc.) poiché il regno giordano registra il maggior numero di volontari aspiranti ‘miliziani’ tra le file del terrorismo religioso. 

Tra i miei compiti, prevalentemente preventivi-informativi, rientrava il monitoraggio del web e quindi dei social che avevano, e hanno tuttora, un ruolo importante per attività di reclutamento, propaganda, rivendicazione, coordinamento, radicalizzazione, ecc. Tra i social utilizzati figuravano, per quanto mi concerne, spesso Facebook, tweetter, tiktok, telegram”, mi spiega Antonio Evangelista.

“In particolare, ricordo che in un paio di casi. Nel 2015, erano stati annunciati attentati di miliziani Isis e/o simpatizzanti radicalizzatisi via web che avevano obiettivi in Lombardia e a Parigi, nel primo caso le indagini successive portarono all’arresto di due stranieri, un tunisino e un pakistano, mentre nel secondo procedettero le autorità francesi alle indagini senza riuscire a sventare l’attacco che colpì il BATACLAN”, continua Evangelista.

Le varie piattaforme social non solo vengono usate per reclutare e radicalizzare adepti per i vari gruppi terroristici islamici, ma anche per commerci illeciti senza bisogno di addentrarsi nel mondo sommerso del dark web.  

“I reperti archeologici trafugati dai miliziani ISIS in Siria e Iraq venivano e vengono negoziati usando Facebook con tanto di foto, offerte e contratti. Il progetto ATHAR (Antiquities Trafficking and Heritage Anthropology Research) è uno studio investigativo condotto da un gruppo di antropologi ed esperti del patrimonio che scavano nel mondo digitale sotterraneo del traffico transnazionale, del finanziamento del terrorismo e del crimine organizzato e molte delle loro ‘investigazioni’ si concretizzano nel monitoraggio dei social, spesso Facebook. Il progetto ATHAR è affiliato a The Day After Heritage Protection Initiative ed è un orgoglioso partner dell’Alliance to Counter Crime Online”, conclude l’ex funzionario dell’Interpol.

Nel suo rapporto ATHAR scrive che “La rapida crescita di Facebook e la mancanza di meccanismi di polizia interna nell’ultimo decennio hanno aiutato la piattaforma a diventare un mercato nero digitale in cui gli utenti acquistano e vendono beni, tra cui antichità illecite, da alcune delle nazioni più in conflitto del mondo. La piattaforma di social media si è commercializzata come strumento per la diffusione globale di idee e informazioni. Nel processo, tuttavia, ha involontariamente ampliato le capacità di comunicazione delle reti criminali transnazionali in tutto il mondo”.

“Oggi, Facebook offre una vera e propria cassetta degli attrezzi digitale da utilizzare per i trafficanti” ed “è la piattaforma perfetta per un mercato nero one-stop-shop”, afferma il rapporto.

Il rapporto ha analizzato  95 gruppi arabi di Facebook creati per il traffico di antichità e indica che gli (“amministratori”) che gestiscono i gruppi sono altamente interconnessi e hanno una portata globale. Ci sono 488 amministratori individuali che gestiscono un collettivo di 1.947.195 membri nei 95 gruppi Facebook. Ventitré degli amministratori gestiscono quattro o più gruppi. La loro influenza si estende fino agli Stati Uniti, dove un antiquario statunitense è amico di Facebook con almeno un amministratore che gestisce più gruppi e pagine su Facebook.

I membri dei gruppi includono anche appartenenti a gruppi terroristici come Hay’at Tahrir Al Sham (HTS), Hurras Al-Din, la Brigata Zinki e altri affiliati di Al-Qaeda non siriani. o dello Stato Islamico.

Quindi come appare evidente, se Pavel Durov è accusato di crimini che sarebbero stati compiuti sulla sua piattaforma, anche i Ceo degli altri social dovrebbero essere incriminati per gli stessi reati. Ma forse le accuse al fondatore di Telegram sono state mosse quale forma di pressione in quanto non avrebbe cooperato nella censura di alcuni temi o opinioni che gli utenti hanno postato. 

Se poi consideriamo che lo stesso Mark Zuckerberg, amministratore delegato di Meta, ha rivelato che l’amministrazione di Joe Biden ha fatto pressione sulla società per censurare alcuni contenuti, comprendiamo come il controllo sulle piattaforme social sia diventato imprescindibile per l’amministrazione statunitense al fine di diffondere le proprie narrative che non devono, in nessun modo, essere contraddette.

Con cadenza quasi quotidiana sul mio account Facebook ricevo proposte da parte di gentili signorine che esercitano il mestiere più vecchio del mondo, messaggi da improbabili amministratori del social che mi avvisano che il mio profilo sarà presto chiuso e mi invitano a connettermi ad un sito per impedire che ciò avvenga rubandomi così le credenziali di accesso, prestiti di denaro da fantomatiche agenzie che si occupano di risolvere i problemi di accesso al credito a chi non può accedervi,  e molto altro che non ha nulla a che a vedere con le regole imposte da Facebook alla community.

Tre semplici esempi che dimostrano come il più famoso social network venga usato per scopi non del tutto legali: prostituzione, furto di identità, strozzinaggio. Ma siccome Mark Zuckerberg ha accettato di sottostare alle pressioni della Casa Bianca nella censura dei contenuti pubblicati sulla sua piattaforma non viene accusato di nulla. Pavel Durov, che invece, lascia libertà di opinione sulla sua piattaforma di messaggistica è messo alla gogna.

 

Andrea Puccio – www.occhisulmondo.info

 

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