IN ECUADOR VINCE IL PRIMO TURNO DELLE ELEZIONI IL CANDIDATO PROGRESSISTA ARAUZ
Il candidato progressista Andrès Arauz (Unes) ha vinto le elezioni presidenziali in Ecuador davanti al candidato conservatore Guillermo Lasso (Creo), ma con una percentuale non sufficiente per aggiudicarsi la massima carica dello Stato. Secondo l’istituto Clima Social (che ha lavorato per la campagna della coalizione Unes), Arauz raccoglie il 36,20% dei voti, seguito da Lasso al 21,70%. Per l’istituto Cedatos (che ha offerto i suoi servizi a Creo), Arauz otterrebbe il 35% e Lasso il 25%. Pochi minuti dopo aver diffuso il suo primo exit poll, l’istituto Cedatos ne ha diffuso un secondo con la valutazione dei potenziali voti per i primi quattro candidati alle presidenziali. Arauz è accreditato del 34,94%, Lasso del 20,99%, Yaku Pe’rez (indigenista del partito Pachakutik) del 17,99% e il candidato di sinistra Xavier Hervas del 13,88%. Secondo Clima Social, Arauz è al 36,20%, Lasso al 21,70%, Yaku Pe’rez al 16,70% e Xavier Hervas al 13%.
Secondo la Costituzione ecuadoriana, per vincere al primo turno un candidato dovrebbe ottenere il 50% dei voti, o almeno il 40%, ma con dieci punti di vantaggio sul secondo. In caso contrario per l’11 aprile è previsto un ballottaggio fra i due candidati meglio piazzati.
Si tratta delle prime elezioni dell’anno in America Latina. Circa 13 milioni di cittadini sono stati chiamati alle urne per scegliere il presidente, che prenderà il posto dell’attuale capo dello Stato Lenin Moreno, fra 16 candidati (di cui una sola donna), nonché 137 membri dell’Assemblea nazionale (cioè il Parlamento monocamerale del Paese). La presenza di così tanti candidati alla presidenza rende quasi certo il ballottaggio, in programma per l’11 aprile.
Le elezioni si sono tenute con rigide misure sanitarie, a causa della pandemia di coronavirus: agli elettori è stato ordinato di indossare la mascherina, portare con sé la propria bottiglia di disinfettante per le mani e la propria matita, mantenere una distanza di 1,5 metri dagli altri ed evitare ogni contatto con persone nei seggi. L’unico momento in cui agli elettori è consentito abbassare la mascherina è durante l’identificazione.
Chi vincerà le elezioni dovrà lavorare per tirare fuori l’Ecuador, produttore di petrolio, dalla profonda crisi economica che è stata aggravata dalla pandemia. Paese sudamericano di 17 milioni di abitanti, l’Ecuador secondo la John Hopkins University ha registrato oltre 253mila casi di coronavirus e quasi 15mila morti (dati aggiornati a venerdì).
Arauz, ex ministro della Cultura 35enne, ha studiato all’università del Michigan. Lasso, 65 anni, alla terza corsa per la presidenza, ha alle spalle una lunga carriera in imprese, banche e governo. Quanto all’attivista ambientale e per i diritti degli indigeni Yaku Perez, nei sondaggi era al terzo posto. Arauz ha proposto di fare pagare più tasse ai più ricchi e di rafforzare i meccanismi di protezione dei consumatori e i crediti locali; ha promesso inoltre che non rispetterà gli accordi con il Fondo monetario internazionale. Lasso, dal canto suo, favorisce le plitiche di libero mercato e il riavvicinamento dell’Ecuador alle organizzazioni internazionali: ha promesso di creare più posti di lavoro e di attirare banche internazionali; vuole inoltre spingere petrolio, attività mineraria e settore energetico tramite la partecipazione dei privati per sostituire i finanziamenti statali.
Il risultato di oggi – che probabilmente sarà confermato al ballottaggio – rende giustizia all’ex presidente Rafael Correa, 57 anni, leader della sinistra ecuadoregna, che ha governato dal 2007 al 2017, alleato di Fidel Castro a Cuba e Hugo Chavez in Venezuela. Rimasto popolare fra milioni di cittadini, per avere regalato al suo paese un periodo di crescita economica guidato da un boom del petrolio e prestiti dalla Cina, che gli hanno permesso di espandere programmi sociali, costruire strade, scuole e altri progetti.
Tradito dal suo ex vicepresidente e successore Lenin Moreno, che dopo essere stato eletto con i voti dei socialisti si è trasformato nella quinta colonna di Trump e del FMI in America Latina, ad aprile Correa è stato condannato in contumacia a otto anni di carcere per il suo ruolo in uno schema per ottenere milioni di dollari da imprenditori in cambio di progetti per infrastrutture, denaro presumibilmente usato a fini politici. Questa condanna gli ha impedito di correre come candidato alla vice presidenza di Arauz. Un precedente tentativo da parte dei procuratori ecuadoriani di ottenere la sua estradizione dal Belgio in un caso di rapimento cui evidentemente era del tutto estraneo, fu respinto dall’Interpol per motivi legati ai diritti umani.