IN HONDURAS PROIBIZIONE DELL’ABORTO E DEL MATRIMONIO EGUALITARIO
La giornata di ieri (giovedì) sarà ricordata per molto tempo. Il Parlamento dell’Honduras ha infatti approvato una riforma costituzionale che di fatto mette una pietra tombale sulla possibilità di depenalizzare l’aborto e il matrimonio egualitario, entrambi già proibiti nella nazione centroamericana da quasi quarant’anni (1982).
Il progetto di riforma era stato presentato nei giorni scorsi dal vicepresidente del Congresso, il conservatore Mario Pérez, con l’obiettivo di modificare l’articolo 67 della Costituzione e “tutelare” così il divieto assoluto di abortire da qualsiasi tentativo futuro di depenalizzazione.
All’ultimo minuto, la maggioranza conservatrice e ultraconservatrice presente alla sessione parlamentaria virtuale ha poi inserito nel nuovo testo l’articolo 112, scolpendo così nella pietra la proibizione del matrimonio e dell’unione di fatto tra persone dello stesso sesso, che non verranno nemmeno riconosciuti se celebrati secondo le leggi di altri paesi.
Secondo le prime indiscrezioni, la riforma è stata approvata in un unico dibattito (la legge ne prevede almeno due), con un numero di voti (84) inferiore a quello stabilito dalla legge (86) e che non coincide con il numero dei deputati che hanno votato.
Il testo approvato dell’articolo 67 recita che “è vietata e illegale qualsiasi forma di interruzione della vita del nascituro, da parte della madre o di una terza persona, la cui vita deve essere rispettata fin dal concepimento”.
Stabilisce inoltre che “le disposizioni di questo articolo e dell’articolo 112 di questa Costituzione possono essere emendate solo dalla maggioranza dei tre quarti dei membri della plenaria del Congresso” e che “saranno nulle le disposizioni legali create dopo l’entrata in vigore di questo articolo che stabiliscano criteri contrari” al testo approvato. In questo modo sarà praticamente impossibile per qualsiasi forza politica raggiungere i 96 voti (di 128 disponibili) necessari per riformare questo articolo della Costituzione.
In mezzo a tante irregolarità, vale la pena ricordare che la Costituzione dell’Honduras non prevede, né autorizza questo tipo di maggioranza qualificata (tre quarti della plenaria).
Reazioni
Nei giorni scorsi, il sistema delle Nazioni unite aveva chiesto ai parlamentari di astenersi dall’approvare una riforma costituzionale “che contravviene gli standard internazionali e le raccomandazioni fatte allo Stato dell’Honduras da diversi organismi e meccanismi per i diritti umani”. Allo stesso modo, aveva sottolineato che “il divieto assoluto di abortire viola la dignità umana e il diritto alla vita e alla salute delle donne[1]”.
Intanto, Somos Muchas[2] e la Rete Lesbica Cattrachas hanno alzato la voce contro un progetto che secondo loro “vuole condannare in modo assoluto e permanente tutte quelle donne, ragazze e bambine che affrontano gravidanze indesiderate”, aumentando così la stigmatizzazione sociale e peggiorando le condizioni già preoccupanti di criminalizzazione di chi decide di interrompere la gravidanza.
Immediatamente dopo il voto parlamentare, la Piattaforma 25 Novembre ha descritto la riforma come un “duro colpo ai diritti delle donne e delle bambine”. Allo stesso modo, il Movimento delle donne per la pace ‘Visitación Padilla’ ha ripudiato una decisione che “condanna donne, adolescenti e bambine all’aborto in condizioni di clandestinità e precarietà”.
Anche la sede honduregna dell’Alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani (Oacnudh) si è detta profondamente preoccupata per l’accaduto, in quanto “contrario al principio di uguaglianza e non discriminazione”[3].
L’Honduras è il secondo paese con il più alto tasso di gravidanza precoce in America Latina e con un tasso di fertilità adolescenziale di 101 nascite per ogni 1000 donne in età 15-19 anni. Nel 2019 sono state più di mille le dimissioni da ospedali pubblici per gravidanze concluse con un aborto e quasi 900 i parti di bambine tra i 10 ei 14 anni come conseguenza di violenza sessuale.
L’Honduras è tra i sei paesi (El Salvador, Haiti, Nicaragua, Repubblica Dominicana, Suriname) in cui l’interruzione della gravidanza non è consentita nemmeno nel caso di violazione sessuale, gravi malformazioni del feto o quando la vita della donna incinta è in serio pericolo.