GLI STATI UNITI RIFIUTANO LA DIGITAL TAX ITALIANA PERCHE’ COLPIREBBE LE LORO AZIENDE
“Per il momento gli Stati Uniti non adotteranno azioni specifiche, ma continueranno a valutare tutte le possibili opzioni”. È il messaggio che il rappresentante del Commercio degli Usa manda all’Italia, criticando duramente la digital tax adottata dal nostro paese perché “discrimina le società statunitensi, è in contrasto con i principi fiscali internazionali, e ostacola o limita il commercio Usa”.
Lo Ustr (U.S. Trade Representative) ha redatto un report dopo un’indagine sulla web tax cominciata nel giugno del 2020, in cui contesta il provvedimento che prende di mira i ricavi delle società che forniscono servizi digitali nella Penisola tra cui, soprattutto, quelle americane: “43 aziende o gruppi potrebbero essere colpite, di questi 27 sono statunitensi, 3 italiani e gli altri 13 provenienti da altri paesi”, scrivono gli autori del documento. E chiariscono: in altre parole, il 62 per cento delle società a cui è indirizzata questa tassa sono americane, quelle italiane rappresentano solo una quota del 6,9 per cento.
Per questo, il rappresentante del commercio lancia un avvertimento, facendo largo all’ipotesi in futuro di misure tariffarie ritorsive: per ora non risponderà con provvedimenti punitivi, ma si lascia la porta aperta per potenziali contromisure, come prevede la Section 301 del Trade Act del 1974, una legge che consente agli Stati Uniti di rispondere con adeguate azioni, tariffarie e non, alle politiche o pratiche di un paese straniero considerate discriminatorie, ingiustificate o che limitano le attività commerciali americane.
Dopo che la proposta della Commissione Ue nel marzo del 2018 di introdurre un’imposta sui servizi digitali aveva incontrato l’ostilità di Irlanda, Svezia e Danimarca, e in seguito alla mancanza di un accordo unanime, i vari paesi membri si erano impegnati a collaborare per trovare una soluzione globale a livello di Ocse/G20 (ma il negoziato per individuare una soluzione condivisa è slittato al 2021).
Intanto l’Italia con la legge di bilancio 2019 ha istituto una web tax pensata per colpire le società che forniscono servizi digitali e che riportano ricavi pari o superiori a 750 milioni di euro, di cui almeno 5,5 realizzati nel territorio italiano. La tassa si applica ai ricavi generati dalla fornitura dei seguenti servizi:
• posizionamento su una piattaforma digitale di pubblicità mirata agli utenti della piattaforma;
• messa a disposizione di un’interfaccia digitale multilaterale che consente agli utenti di essere in contatto e di interagire tra loro, anche al fine di facilitare la fornitura diretta di beni o servizi;
• trasmissione di dati raccolti da utenti e generati dall’utilizzo di
un’interfaccia digitale.
La misura ha previsto un’aliquota del 3 per cento sui ricavi e stabilisce che “i soggetti passivi dell’imposta sono tenuti al versamento dell’imposta entro il 16 febbraio dell’anno solare successivo a quello in cui sono realizzati i ricavi imponibili”. Per la localizzazione dell’utente, invece, si fa riferimento all’indirizzo di protocollo internet (Ip) del dispositivo utilizzato o ad altro sistema di geolocalizzazione, nel rispetto delle regole relative al trattamento dei dati personali.
Per l’Ustr la misura italiana, che dovrebbe comportare un gettito di circa 708 milioni di euro all’anno, “ingiustamente prende di mira grandi società tech con base negli Stati Uniti” e rende “meno probabile il raggiungimento di un accordo multilaterale sulla digital tax in sede Ocse”. Più nel dettaglio, la digital tax di Roma è considerata “discriminatoria”, perché colpisce le società che superano una certa soglia di fatturato: “L’indagine mostra che solo 43 società raggiungono quelle soglie di ricavi. Di queste, 27 sono statunitensi (oltre il 62 per cento) e solo 3 italiane (meno del 7 per cento)”, si legge nel documento dell’Ustr, che continua: “La digital tax italiana prende di mira quei settori in cui le aziende americane sono dominanti, vale a dire l’internet advertising e le interfacce digitali, che comprendono marketplace online e alcuni servizi di sottoscrizione”.
Inoltre gli autori del report fanno notare che l’imposta è in disaccordo con i principi di tassazione internazionali, perché si applica al fatturato e non al profitto, e comporta una doppia tassazione dello stesso flusso di ricavi. “Ad esempio, i ricavi di una società sarebbero soggetti alle tasse sui profitti a livello nazionale oltre che all’imposta sui servizi digitali”.
Nel frattempo, lo Ustr ha deciso di sospendere le tariffe addizionali sui prodotti francesi che erano state annunciate nel luglio del 2020 e che dovevano essere applicate a partire dal 6 gennaio del 2021 come risposta alla web tax adottata da Parigi. La decisione è stata presa in considerazione delle altre indagini in corso sulle imposte sui servizi digitali relative ad altri paesi. “La sospensione dell’azione tariffaria nei confronti della Francia comporterà una risposta coordinata in tutti gli altri casi ancora aperti”.
https://it.businessinsider.com/digital-tax-italia-colossi-tech-stati-uniti/