ARRIVANO NELLA BASE DI GHEDI A BRESCIA ALTRI F35
di Tatiana Santi –
Sputnik
Fanno sempre parlare di sé gli F-35, i cacciabombardieri multiruolo molto criticati da diversi esperti per quanto riguarda il lato tecnico, ma anche per gli ingenti costi del jet, soprattutto in un periodo di crisi sanitaria ed economica.
Riconvertire l’industria militare in un’industria ad uso civile è possibile ed è una pratica che ha funzionato in diversi Paesi durante la pandemia da Covid. Per l’Italia qual è la priorità: l’acquisto dei costosi F-35 o gli investimenti nella sanità? Sputnik Italia ha raggiunto per un’intervista in merito Gianni Alioti, già sindacalista della Fim-Cisl (Federazione Italiana Metalmeccanici), attivista della Rete Disarmo.
— Sono in arrivo altri F-35 a Brescia. Quella degli F-35 è una vecchia storia che continua. Gianni Alioti, quanto ha già speso l’Italia nell’acquisto di questi velivoli?
— La spesa complessiva già effettuata è di 4 miliardi. La firma dei contratti dovrebbe portare il numero di velivoli acquistati dall’Italia dai 13 disponibili a 28. Va tenuto conto che gli F-35, sia quelli prodotti per gli Stati Uniti sia quelli per l’Italia, sono un programma che si trascina da circa 20 anni e già si prevedono degli interventi di modifica e di sostituzione di componenti. I costi di manutenzione sono molto più alti di quelli preventivati. Rispetto ai 14 miliardi complessivi di spese per i 90 F-35 c’è chi pensa si possa arrivare anche a 19 miliardi.
— Sono talmente indispensabili questi jet in pandemia, mentre la sanità subisce continui tagli?
— Dal mio punto di vista assolutamente no. Ancora prima dell’emergenza sanitaria sono sempre stato critico al programma degli F-35 anche per ragioni tecnologiche, industriali e di costo, oltre che per le scarsissime ricadute in termini occupazionali. I motivi per contrastare questa spesa pubblica da parte dello Stato italiano c’erano già fin dalla fase iniziale del programma. A maggior ragione adesso dove non solo gli F-35, ma le spese militari in generale dovrebbero essere riconsiderate in Italia come nel resto del mondo come una spesa del tutto impropria rispetto a quelli che sono i bisogni di sicurezza sanitaria ed alimentare delle persone.
— Parliamo anche della riconversione industriale da uso bellico ad uso civile. È possibile e se sì, come?
— Ovviamente è un problema di scelta politica legata a programmi di disarmo e di investimento in attività alternative. Nei primi mesi della pandemia ci sono stati nel modo del tutto spontaneo dei casi in giro per il mondo in cui aziende produttrici in campo militare missilistico hanno spostato la produzione nei sistemi di respirazione o in altri apparati biomedicali.
È storicamente dimostrato: tutte le volte che si è usciti da una guerra ci sono stati interi gruppi industriali che hanno per necessità dovuto convertire le loro produzioni ad altri usi, perché non era più richiesto quello sforzo bellico. Da un punto di vista tecnico è dimostrato che è possibile. Ogni riorganizzazione industriale può avere delle conseguenze, anche il personale deve essere riqualificato, cambia molto se un’azienda era abituata ad operare esclusivamente in campo militare.
— Le fabbriche che producono respiratori polmonari sono ben poche in Italia, quelle che producono armi sono diverse centinaia. Per dirottare le risorse sulla sanità e per riconvertire la produzione industriale manca solo la volontà politica?
— In diverse parti del mondo è stata presa la decisione di riconvertire le industrie nel contesto del Covid-19 da produzioni di natura militare a produzioni di natura sanitaria. È il caso di Israele ad esempio dove si è verificata la conversione produttiva da missili a ventilatori; in Svezia allo stesso modo la casa automobilistica Volvo ha convertito la produzione nello stabilimento Tuve di Goteborg per realizzare visiere protettive. A monte ci deve essere la scelta di spostare determinati investimenti.
Nel caso dell’Italia, si continuano a comprare gli F-35 come se nulla fosse successo, fra l’altro senza la certezza di impiegarli e di utilizzarli, perché il programma è in una fase di rodaggio. È una scelta di sudditanza nei confronti dell’industria aeronautica militare americana. Si è scelto di fare dell’industria aeronautica italiana un sub fornitore di componenti di aereo, ma la tecnologia è in mano esclusivamente alla Lockheed Martin.
Nello stabilimento di Cameri a Novara, dove c’è la linea di produzione degli aerei che vengono acquistati dall’Italia e dall’Olanda, sulle parti di elettronica che vanno sul velivolo il gruppo Leonardo non ha nessun controllo. Noi facciamo della carpenteria specializzata, ma sempre di carpenteria parliamo. Attrezzare lo stabilimento di Cameri è costato di soldi pubblici all’Italia quasi un miliardo di euro.
Per avere un rapporto con lo stesso investimento ma in un altro settore: lo stesso importo che sta investendo la Fiat Chrysler Automobiles a Pomigliano in Campania per rifare completamente le linee di produzione dell’Alfa Romeo per la Panda ibrida. Questo è uno stabilimento che impiegherà 4500 persone e un indotto di 10 mila persona; a Cameri ci lavorano 856 persone. Quindi anche da un punto di vista occupazionale non si può giustificare l’investimento.
Caro Andrea
Ti sfugge che glii F35 saranno adoperati per distribuire i vaccini
Che servono a finanziare industriali colpiti dalla crisi
Che garantiscono la sicurezza dell’italiano cielo contro le incursioni libiche e contribuiscono alla polizia degli italici mari contro l’invasione degli ingordi cercatelefonini