Le prime tensioni si sono registrate lo scorso settembre, quando il Fronte di liberazione popolare del Tigrai (Tplf), la regione etiope che confina con Eritrea e Sudan, ha chiesto al governo del premier etiope Abiy Ahmed di poter organizzare le elezioni locali che erano state posticipate a causa del Covid. Dopo il no di Addis Abeba l’amministrazione locale, guidata da Debretsion Gebremichael, ha deciso di procedere lo stesso con le consultazioni che il governo ha dichiarato illegittime.
Gli scontri veri e propri, però, sono scoppiati all’inizio del mese, quando il governo etiope ha lanciato la sua offensiva contro il Tplf, al potere nella regione dal 1991 e riconfermato al comando dalle ultime elezioni. Il premier ha accusato il Fronte di aver attaccato due basi militari federali per destabilizzare il Paese. Da quasi dieci giorni gli scontri vanno avanti e hanno già causato centinaia di vittime e migliaia di profughi verso le regioni confinanti.
Il timore degli osservatori è che il conflitto ora possa allargarsi ad un quadrante già fortemente instabile. Non solo. Negasi Tesfaye, esperto di politica etiope ad Addis Abeba, citato da Sputnik, nei giorni scorsi ha espresso preoccupazione per il fatto che “il conflitto possa incrementare il numero di rifugiati che dall’Etiopia e dall’Eritrea arrivano in Europa attraverso Libia e Sudan”. “Il Tigrai – aveva sottolineato l’analista – ospita già migliaia di rifugiati eritrei che sono fuggiti dal Paese per non arruolarsi nell’esercito del regime autoritario di Isaias Afewerki”. “Queste persone ora potranno lasciare la regione e fare rotta verso nord, verso l’Europa”, assicura.
L’assedio delle forze governative, infatti, si ripercuote su un’economia già fragile: “I rifornimenti di benzina sono esigui, le comunicazioni sono state tagliate, le scorte di cibo sono limitate e i prezzi sono schizzati alle stelle”. Questo, nota ancora l’esperto etiope, “va aggiunto all’epidemia di Covid e all’invasione di locuste”.
Una situazione davvero al limite che, secondo i dati dell’Agenzia dell’Onu per i rifugiati (Unhcr) ha già portato 14,5mila persone ad attraversare il confine con il Sudan. La metà sono bambini. Il rappresentante dell’Unhcr, Axel Bisschop, ha fatto sapere di aver predisposto una risposta per almeno 20mila persone.
Ma secondo Askanews, che cita la Commissione per i rifugiati sudanese, a Gadaref, in Sudan, potrebbero riversarsi nei prossimi giorni fino a 200mila persone.
“Se esplode l’Etiopia, c’è il rischio di una vera e propria catastrofe, non solo umanitaria, in tutta l’Africa orientale”, ha detto alla stessa agenzia di stampa, Gianluca Antonelli, della Ong italiana VIS (Volontariato Internazionale per lo Sviluppo), che ha diversi volontari che operano nel Tigrai. “Altri movimenti – ha aggiunto – sono stati registrati all’interno della regione, con la gente che comincia a spostarsi dalle zone interessate dagli scontri armati per accedere a zone più sicure”.
Per il direttore dei programmi della Ong “non si era mai arrivati a uno scontro di questa natura”. A preoccupare sono le conseguenze dell’escalation: “I rischi di conseguenze più generali che impattano sulla regione, su tutta l’Africa orientale – sostiene l’esperto interpellato da Askanews – sono davvero enormi”.
Oggi il premier Abiy Ahmed ha nominato Mulu Nega come capo esecutivo della regione insorta. Il suo compito, ha reso noto Abiy Ahmed su Twitter, sarà quello di “reclutare e nominare i capi degli organi esecutivi del governo regionale dai partiti politici che operano legalmente nella regione”.
“C’è il rischio che la situazione sfugga totalmente al controllo, portando ad un pesante numero di vittime e danni, oltre ad un esodo di massa all’interno del Paese e oltre i confini”, ha però fatto sapere venerdì l’Alto commissario per i diritti umani dell’Onu, Michelle Bachelet, citata dalla Reuters, annunciando un’inchiesta indipendente sulla strage di civili in corso.